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Sentenze

RECINZIONE IN LEGNO E RETE METALLICA NON RICHIEDONO ALCUNA CONCESSIONE
T.A.R. VENETO, SEZIONE II, SENTENZA N. 533 DEL 7 MARZO 2006

La recinzione in legno o in rete metallica di un terreno non richiede alcuna concessione o autorizzazione edilizia, in quanto costituisce non già trasformazione urbanistica (non comporta, infatti, trasformazione morfologica del territorio), ma estrinsecazione lecita dello "jus excludendi alios", immanente al diritto di proprietà: a tale nozione si adatta egregiamente la recinzione che sia costituita da paletti infissi al suolo (senza cordolo di calcestruzzo) e collegati da una rete metallica, con conseguente illegittimità, dunque, dell'ordine di demolizione.

NON BASTA IL SILENZIO PER NEGARE IL PERMESSO
TAR LAZIO, SENTENZA N. 14 DEL 10 GENNAIO 2008

L’amministrazione comunale non può respingere con il silenzio la domanda di rilascio del permesso di costruire, ma deve sempre ricorrere ad un atto espresso. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha così accolto il ricorso di un cittadino contro il Comune di Roma che era rimasto inerte di fronte all’istanza di rilascio del permesso di edificare presentata dal ricorrente per poter procedere all’ampliamento di un fabbricato residenziale. Secondo i giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto l’amministrazione pubblica è obbligata a pronunciarsi con un provvedimento espresso sulla richiesta della concessione edilizia e non può ricorrere al silenzio per rifiutarla implicitamente. Infatti la legge che regola il procedimento di rilascio del permesso di costruire stabilisce che il procedimento deve concludersi entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda , se non emergono particolari problemi, con un provvedimento espresso, in mancanza del quale il silenzio - rifiuto che si forma può essere impugnato davanti al giudice, come è accaduto in questo caso. Il comportamento omissivo o inerte della pubblica amministrazione è considerato illegittimo perché incide negativamente sulla sfera giuridica del cittadino che senza un atto esplicito non è posto nelle condizioni di conoscere le motivazioni alla base del rifiuto della domanda e di esercitare adeguatamente il suo diritto di difesa. Per questi motivi il Tar ha dichiarato l’obbligo per l’amministrazione di provvedere sulla richiesta ed ha inoltre nominato un commissario (c.d. “ad acta”) con il compito di intervenire qualora il Comune non provveda nel termine assegnatogli.

DISTANZA MINIMA DI 10 METRI DALLE PARETI FINESTRATE
T.A.R. PER LA LOMBARDIA, SENTENZA N.788 DEL 03 LUGLIO 2008

1) L’art. 9, comma 1, n. 2 del DM 1444/1968, il quale impone per gli edifici realizzati al di fuori della zona A una distanza minima di 10 metri dalle pareti finestrate, per la sua genesi (è stata adottata ex art. 41- quinquies comma 8 della legge 17 agosto 1942 n. 1150, come introdotto dall’art. 17 della 6 agosto 1967 n. 765) e per la sua funzione igienico-sanitaria (evitare intercapedini malsane) costituisce un principio inderogabile della materia. In particolare si tratta di una norma che prevale sia sulla potestà legislativa regionale, in quanto integra la disciplina privatistica delle distanze (v. C.Cost. 16 giugno 2005 n. 232, punto 4, con le eccezioni ivi previste), sia sulla potestà regolamentare e pianificatoria dei comuni, in quanto deriva da una fonte normativa statale sovraordinata (v. Cass. civ. Sez. II 31 ottobre 2006 n. 23495), sia infine sull’autonomia negoziale dei privati, in quanto tutela interessi pubblici che per la loro natura igienico-sanitaria non sono nella disponibilità delle parti (v. CS Sez. IV 12 giugno 2007 n. 3094).
2) L’art. 9 comma 1 n. 2 del DM 1444/1968 si applica a tutti gli interventi edilizi che abbiano il contenuto sostanziale di costruzione e, quindi, anche alle ristrutturazioni con ampliamento del volume e della superficie (v. Cass. civ. Sez. II 28 settembre 2007 n. 20574). Il fatto che l’edificio preesista e venga sopraelevato non dà diritto a mantenere l’allineamento acquisito. Una simile conclusione potrebbe essere ammissibile solo in circostanze particolari, quando l’allineamento corrisponda a un interesse pubblico autonomo e attinente all’assetto urbanistico complessivo di una zona urbanistica (v. ancora C.Cost. 16 giugno 2005 n. 232, punto 4).
3) L’art. 9, comma 1, n. 2 del DM 1444/1968 è applicabile anche quando tra le pareti finestrate (o tra una parete finestrata e una non finestrata) si interponga una via pubblica. La fattispecie è regolata dal comma 2 del medesimo art. 9, che prescrive in questo caso distacchi maggiorati in relazione alla larghezza della strada. L’esclusione della viabilità a fondo cieco prevista nella stessa norma va riferita alle maggiorazioni e non alla distanza minima di 10 metri, che rimane inderogabile a salvaguardia delle esigenze igienicosanitarie. In presenza di pareti finestrate poste a confine con la via pubblica non è quindi mai ammissibile la deroga prevista dall’art. 879 comma 2 c.c. per le distanze tra edifici e dall’art. 905 comma 3 c.c. per le vedute (v. CS Sez. IV 19 giugno 2006 n. 3614).

DECADENZA DELLA CONCESSIONE EDILIZIA PER MANCATO PAGAMENTO DELLA PRIMA RATA DEGLI ONERI
T.A.R. PER L'EMILIA ROMAGN, SENTENZA NUM. 3596 DEL 04 AGOSTO 2008

Il pagamento della prima rata degli oneri, ed altri adempimenti, condizionano sospensivamente la stessa possibilità del ritiro e il perfezionamento della concessione edilizia, e non necessitano di alcuna valutazione tecnica sul loro avveramento (come invece l’inizio lavori), per cui corrisponde ad un elementare principio di economia procedimentale che la relativa decadenza operi “ope legis”, senza necessità di alcuna pronuncia dichiarativa o costitutiva al riguardo. Ed infatti l’art. 27 L.R. 47/85 stabilisce espressamente, al comma 11, che la concessione edilizia deve essere ritirato entro 60 giorni dall’accoglimento “pena la sua decadenza”, salvo proroga per “validi e comprovati motivi che impediscano il ritiro”, da far valere” a richiesta prima della scadenza del termine”. Se ne deduca che, in mancanza della richiesta di proroga, la decadenza opera automaticamente (Cons. Stato, V, 27.2.90, n.208).

IL TERMINE DI 30 GIORNI EX ART. 23 DEL T.U. EDILIZIA ENTRO IL QUALE IL COMUNE PUÒ ADOTTARE UN PROVVEDIMENTO INIBITORIO A SEGUITO DELLA D.I.A., È PERENTORIO
T.A.R. PER IL LAZIO, SENTENZA N. 8840 DEL 08 OTTOBRE 2008

Ai sensi dell’art.23, comma 1 e 6 del DPR n. 380 del TU in materia edilizia, il Comune può inibire la realizzazione delle opere nel termine perentorio di 30 giorni dalla presentazione della DIA, con la conseguenza che, oltre detto termine, il potere di riscontro a fini inibitori attribuito alla PA è esaurito e la stessa può provvedere solo con l’esercizio del potere di autotutela e al generale potere di controllo sulle attività di trasformazione edilizia del territorio.

COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO: IL TERMINE CONCESSO ALL’INTERESSATO PER PRESENTARE OSSERVAZIONI DEVE ESSERE SUFFICIENTE A CONSENTIRE UN’EFFETTIVA PARTECIPAZIONE.
TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. II, SENTENZA N. 4474 DEL 10 NOVEMBRE 2008

Benché gli articoli 7 e 8 della Legge n. 241 del 1990 non prescrivano espressamente l’assegnazione di un termine minimo per la presentazione di osservazioni, né stabiliscano un termine dilatorio per l’adozione dell’atto conclusivo, affinché la comunicazione di avvio del procedimento non si risolva in un mero adempimento formale privo di qualunque utilità, deve essere assicurato agli interessati un ragionevole lasso di tempo per consentire loro un’effettiva e concreta partecipazione La fattispecie in sentenza riguardava un’ordinanza adottata dall’Amministrazione comunale a soli tre giorni dalla comunicazione di avvio, termine quest’ultimo ritenuto incongruo dal Tribunale Amministrativo.

CONTRO LE BARRIERE ARCHITETTONICHE BASTA L’ADATTABILITÀ
T.A.R. DELLA TOSCANA, SENTENZA N. 116 DEL 29 GENNAIO 2009

Per gli edifici fino a tre piani fuori terra è sufficiente la predisposizione all’installazione di servo scala. Negli edifici residenziali con non più di tre livelli fuori terra è consentita la deroga all’installazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori, compresi i servoscala, purché sia assicurata la possibilità della loro installazione in un tempo successivo. Lo ha precisato il Tar Toscana, accogliendo il ricorso di un’impresa di costruzioni contro il provvedimento con cui un Comune la obbligava ad installare un mezzo di sollevamento in un edificio di civile abitazione con due livelli fuori terra che l'impresa stessa aveva costruito e per il quale aveva dichiarato, tra l’altro, il rispetto delle norme in materia di “abbattimento di barriere architettoniche”.

ILLEGITTIMO L`OBBLIGO DI DOVER CEDERE ANCHE UN`AREA IN AGGIUNTA AL COSTO DELLE URBANIZZAZIONI
TAR TOSCANA, SENTENZA N. 1005 DELL’11 GIUGNO 2009

Secondo i giudici del TAR Toscana deve ritenersi illegittima la norma di un Regolamento Urbanistico comunale (nel caso di specie del Comune di Portoferraio) laddove prevede che a fronte della realizzazione di un piano di lottizzazione, oltre al pagamento degli oneri di urbanizzazione, sia dovuta anche la cessione di un area da destinare comunque ad uso pubblico avente peraltro una superficie di non meno di 15 mila metri quadrati. Tale previsione, infatti, secondo i giudici amministrativi, non puo` ritenersi supportata da adeguata e idonea motivazione giuridica, normativa e logico-motivazionale, ne` puo` valere, come giustificazione addotta dal Comune, che trattasi di garantire standard aggiuntivi oltre a quelli minimi previsti dalla legge e che in ogni caso la cessione non sarebbe stata a titolo gratuito. Le argomentazioni difensive del Comune non hanno pero` convinto il TAR Toscana che ha invece sottolineato proprio la mancata chiarezza sui presupposti in base ai quali la prescrizione censurata e` stata introdotta nel Regolamento Urbanistico impugnato.

TRASLAZIONE DELL’AREA DI SEDIME
T.A.R. PER LA LOMBARDIA, SENTENZA N. 1450 DEL 08 LUGLIO 2009

La realizzazione di un edificio traslato, in maniera rilevante, rispetto al progetto approvato, integra, ai sensi dell’art. 8 lett. c) l. 28-2-1985 n. 47, un’ipotesi di variazione essenziale. Il mero decorso del tempo non è sufficiente a far insorgere un affidamento sulla legittimità dell’opera o comunque sul consolidamento dell’interesse del privato alla sua conservazione, né, per conseguenza, a imporre la necessità di una specifica motivazione in ordine all’esistenza di un interesse pubblico prevalente (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 08 novembre 2007 , n. 6200).
L’usucapione dei beni demaniali è possibile solo dopo la sdemanializzazione, che consiste nel procedimento di passaggio dei beni del demanio pubblico al patrimonio dello Stato. Questa può essere sia espressa, ovvero attraverso un formale provvedimento di sclassificazione, sia tacita, risultante cioè dati univoci inconcludenti, incompatibile con la volontà di conservare la destinazione del bene all’uso pubblico. Il prolungato disuso di un bene demaniale da parte dell’ente pubblico proprietario, ovvero la tolleranza osservato da quest’ultimo rispetto a un’occupazione da parte di privati, non costituiscono elementi sufficienti, sul piano logico giuridico, a comprovare inequivocabilmente la cessazione della destinazione del bene - anche solo potenziale- all’uso pubblico (cosiddetta sdemanializzazione tacita), essendo ulteriormente necessario, al riguardo, che tali elementi indiziari siano accompagnati da fatti concludenti e da circostanze così significative da non lasciare adito ad altre ipotesi se non a quella che l’amministrazione abbia definitivamente rinunciato al ripristino dell’uso pubblico.

I MANUFATTI EDILIZI INTERRATI SONO NUOVE COSTRUZIONI
T.A.R. PER LA LOMBARDIA, SENTENZA N. 4764 DEL 06 OTTOBRE 2009

La circostanza che la costruzione, adibita a cantina, sia interrata non può portare ad affermarne l’irrilevanza sotto il profilo urbanistico: con l’art. 3, D.p.r. n. 380/2001, il legislatore ha, difatti, ricompreso i manufatti edilizi interrati tra le nuove costruzioni, facendo propria la soluzione già seguita dalla giurisprudenza secondo cui i lavori di costruzione edilizia subordinati a concessione non sono solo quelli per i quali il manufatto si eleva al di sopra del suolo ma anche quelli in tutto o in parte interrati perché trasformano durevolmente l’area impegnata (Cass. pen., sez. III, 25 marzo 1994; Cons. Stato, sez. V, 10 aprile 1991, n. 486).

DISTANZE TRA PARETI FINESTRATE E PARETI DI EDIFICI ANTISTANTI STRUMENTI URBANISTICI CONTRASTANTI CON LA NORMA
TAR LOMBARDIA, BRESCIA, SEZ. I - SENTENZA N. 1742 DEL 16 OTTOBRE 2009

Il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 - là dove all’art. 9 prescrive in tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - è norma che impone determinati limiti edilizi ai comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici. Da ciò deriva (cfr. ex multis Cass. Civ. Sez. II 1.11.2004 n. 21899) che l'adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma
anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata.

APPALTI PUBBLICI: LA REGOLARITÀ DELLA GARA SACRIFICA LA PRIVACY DEI PARTECIPANTI
TAR ABRUZZO, SENTENZA N. 466 DEL 7 NOVEMBRE 2009

Nelle gare di appalto la tutela alla riservatezza cede il passo alla regolarità della procedura. Infatti un’impresa in gara ha il diritto di accedere alla posizione Inps dei dipendenti di una concorrente, per presunte irregolarità, e l’Istituto non può sollevare problemi di privacy. Lo ha stabilito il Tar per l’Abruzzo che, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso di una impresa che aveva chiesto la posizione Inps di una dipendente di un’azienda concorrente che sembrava avesse avuto rapporti professionali con uno dei membri della commissione. “È infatti illegittimo – si legge in fondo alla sentenza - l’indiscriminato diniego all’accesso ai documenti opposto dall’INPS”.

DEMOLIZIONI SOSPESE IN ATTESA DEL CONDONO
TAR LAZIO, SENTENZA N. 8705 DEL 14 OTTOBRE 2008

I provvedimenti di repressione degli abusi edilizi per i quali è stata presentata tempestivamente la domanda di condono non possono essere adottati dalla pubblica amministrazione che ancora non si è pronunciata sulla richiesta di concessione in sanatoria. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha così accolto il ricorso di un cittadino contro il Comune di Roma che con un’ordinanza aveva disposto la demolizione o la rimozione delle opere edilizie abusive realizzate dal ricorrente sull’unità immobiliare di sua proprietà e per le quali lo stesso aveva presentato domanda di condono in epoca anteriore all’emanazione della sanzione. Secondo i giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto la pubblica amministrazione non può adottare misure sanzionatorie, destinate a reprimere le opere edilizie abusive, se per le medesime opere pende un procedimento di condono. Infatti la definizione del procedimento impedisce l’applicazione dei provvedimenti repressivi che possono però trovare applicazione in un secondo momento, in caso di rigetto della domanda di condono. L’amministrazione ha l’obbligo di astenersi dall’applicazione delle sanzioni, in base alla legge, durante la pendenza del procedimento di condono, anche perché , in caso contrario, verrebbe vanificato l’interesse dell’autore dell’abuso al rilascio del titolo concessorio. Nel caso in esame, inoltre, la richiesta di applicazione del beneficio del condono era stata presentata anteriormente all’adozione dell’ordinanza di demolizione contestata.

RISARCIMENTO DEL DANNO DA RILASCIO DI CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA
T.A.R. PER L'EMILIA ROMAGNA, SENTENZA N. 4753 DEL 30 DICEMBRE 2008

Deve essere respinta la domanda di risarcimento del danno (che può essere definito “da disturbo”) asseritamente derivante al ricorrente dal rilascio di una concessione in sanatoria, laddove non vengano portati elementi concreti e precisi in ordine alla sussistenza di circostanze idonee ad arrecare un pregiudizio di tipo patrimoniale od esistenziale, né venga provato in modo sufficientemente preciso l’esistenza di un nesso di causalità fra il provvedimento impugnato, che si limita a sanare un edificio dal punto di vista urbanistico, ed i danni lamentati imputabili, in ipotesi, non al manufatto in sé, bensì alle modalità del suo utilizzo. Tali danni (se esistenti), sono eventualmente ascrivibili a comportamenti che sfuggono alla cognizione del giudice amministrativo, tanto più se riferibili non al bene oggetto di concessione, bensì al suo utilizzo da parte del possessore. La domanda di accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dall’amministrazione in relazione all’omessa tempestiva adozione di provvedimenti repressivi nei confronti del controinteressato ed al risarcimento dei relativi danni, prospetta una lesione derivante da comportamenti, che sfuggono alla giurisdizione del Giudice Amministrativo essendo devoluti, alla Giurisdizione del Giudice Ordinario (Corte Costituzionale n. 191/2006 e n. 204/2004; Cass. Civ. SS.UU. n. 3043/2007). Sotto questo profilo il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, fermi restando gli effetti dell’istituto della traslatio iudicii.

IL COMUNE NON PUÒ ORDINARE AL CONDOMINIO DI REALIZZARE CANNE FUMARIE PER IMPIANTI AUTONOMI
TAR LOMBARDIA, SENTENZA N. 5414 DEL 24 NOVEMBRE 2009

Illegittimo il provvedimento del comune che ordina al condominio di realizzare le canne fumarie di convoglio delle esalazioni degli impianti termici a gas (autonomi) appartenenti a ciascun condomino. Lo ha sancito il Tar della Lombardia che, con la sentenza in esame, ha precisato che non spetta al Condominio intervenire in questioni che si riferiscono alla gestione di parti dell’immobile rientranti nella proprietà esclusiva dei singoli condomini. Infatti nel caso di modifiche agli impianti autonomi, è illegittimo il provvedimento del comune che condanna il Condominio alla realizzazione degli stessi.

C'È 'OK' SULLA RICEVUTA DEL FAX? IL DOCUMENTO È STATO INVIATO CORRETTAMENTE
TAR DEL LAZIO, SENTENZA N. 5113/2008

La Terza Sezione bis del TAR del Lazio ha stabilito che i documenti trasmessi via fax si presumono giunti al destinatario se il rapporto di trasmissione indica che il loro invio è avvenuto regolarmente. Con questa decisione, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, ha accolto il ricorso di una società che si era vista respingere la richiesta di un finanziamento da altra società che deduceva di non aver mai ricevuto la richiesta dei chiarimenti che invece la richiedente dichiarava di aver inviato per fax. Nell'impianto motivazionale della sentenza, si legge che "ai sensi dell'art. 45, comma 1, del d.lgs 17 marzo 2005, n. 82, recante il 'Codice dell’amministrazione digitale', 'I documenti trasmessi da chiunque ad una pubblica amministrazione con qualsiasi mezzo telematico o informatico, ivi compreso il fax, idoneo ad accertarne la fonte di provenienza, soddisfano il requisito della forma scritta e la loro trasmissione non deve essere seguita da quella del documento originale' (l'ora riportata disposizione legislativa è sostanzialmente
reiterativa di quella contenuta nell’art. 43, comma 6, del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, con il quale è stato emanato il "Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa")" e che "posto […] che gli accorgimenti tecnici che caratterizzano il sistema garantiscono, in via generale, una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, ne consegue che […] un fax deve presumersi giunto al destinatario quando il rapporto di trasmissione indica che questa è avvenuta regolarmente, senza che colui che ha inviato il messaggio debba fornire alcuna ulteriore prova". Nel momento quindi in cui il fax viene trasmesso (documentato dal rapporto di trasmissione), si forma la presunzione circa la sua ricezione a favore del destinatario, il quale può vincerla solo opponendo la mancata funzionalità dell'apparecchio ricevente o di una sua rottura che abbia impedito l'effettiva comunicazione, mentre il mittente non deve fornire alcuna ulteriore prova sull'invio.

 
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