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1- SULLA DISTANZA MINIMA DI 10 METRI TRA PARETI FINESTRATE DI EDIFICI EX DM 1444/68
CONSIGLIO DI STATO, DECISIONE N. 3929 DEL 12 LUGLIO 2002
L'applicazione dell'art. 17 della legge n. 765 del 1967 e della disposizione del D.M. n. 1444 del 1968, secondo cui le costruzioni debbono osservare una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, sono subordinate all'inesistenza di strumenti urbanistici anteriori contenenti norme sulle distanze; tuttavia gli strumenti urbanistici (e le relative revisioni) approvati successivamente all'entrata in vigore del citato decreto non possono contrastare con le direttive del decreto stesso. Cfr. Cass. civ., SS.UU., 22 novembre 1994, n. 9871 e Cass. civ., II, 24 luglio 2001, n.10062.
2 -MURO DI SOSTEGNO – NUOVA COSTRUZIONE
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA N. 1619 DEL 12 APRILE 2005
Le opere, se pur autorizzate, per la costruzione di muri di sostegno in cemento armato, che modificano l'assetto fisico naturale del terreno, devono farsi rientrare in quelle di “nuova costruzione” soggette alle regole urbanistiche concernenti le distanze fra costruzioni.
3 - REALIZZAZIONE PARCHEGGIO - AREA PERTINENZIALE
CONSIGLIO DI STATO, DECISIONE N.1608 DEL 29 MARZO 2006
L’articolo 9, comma 1, della legge 122/89, e successive modificazioni, stabilisce che "i proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti". La norma continua disponendo che "tali parcheggi possono essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purché non in contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto dell’uso della superficie sovrastante e compatibilmente con la tutela delle risorse idriche". In base alla norma ora riportata, i predetti parcheggi devono essere realizzati, se non vengono a ciò adibiti i locali del piano terra di un fabbricato, nel sottosuolo dello stesso fabbricato ovvero nel sottosuolo di un’area pertinenziale esterna.
4 - LA REALIZZAZIONE DI CUBATURE ACCESSORIE NON DA LUOGO A VARIAZIONE ESSENZIALE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2363 DEL 27 APRILE 2006
La realizzazione di cubature accessorie e di volumi tecnici, non dà luogo a variazione essenziale. Nel caso ci troviamo di fronte ad un edificio che, a causa delle particolari condizioni dell’area di sedime e del naturale declivio del suolo, presenta (o meglio, sembra presentare) un piano in più oltre a quello consentito in quanto quello che dovrebbe essere piano interrato si trasforma in piano terra. Sorge quindi il problema di stabilire se l’edificio si presenti con una altezza massima ed una volumetria maggiore di quella consentita. L’edificio comporta un aumento di volume fuori terra da imputarsi alla realizzazione di locali destinati a volumi tecnici ed accessori (cantine, lavanderie, locali di sgombero), per cui l’opera dovrebbe essere considerata regolare.
5 - NO A QUOTA DI EDIFICABILITÀ RISERVATA AL COMUNE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4833 DEL 21 AGOSTO 2006
il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso dei proprietari di alcune aree edificabili contro un articolo delle N.T.A. del Piano regolatore in cui si stabilisce, per una data zona, che “una quota del 50% della capacità insediativa totale è riservata al Comune”. Secondo i giudici infatti, una simile previsione appare “preordinata a comprimere in maniera del tutto indiscriminata la potenzialità edificatoria delle aree […] il cui valore viene per ciò solo inevitabilmente ed immediatamente ridimensionato, senza che possa attribuirsi alcun rilievo alle modalità di successiva concreta attuazione degli interventi, che allo stato non risultano ancora determinate”. Si avrebbe in questo modo una forma di espropriazione del tutto atipica, non riconducibile ad alcuna legge vigente in materia. Non esiste infatti una norma “che autorizzi una riserva di proprietà fondiaria alla mano pubblica - come quella prefigurata nella specie - al fine di contenimento dei prezzi, in un’ottica “dirigista” del mercato dei terreni edificabili”. In definitiva, la disposizione contestata va stralciata, dal momento che il Comune può espropriare mediante i piani attuativi, ma non può, invece, “riservarsi” preventivamente l’acquisizione di aree con modalità atipiche come quelle contenute nelle N.T.A.
6 - DISTANZE LEGALI TRA GLI EDIFICI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 8262 DEL 30 DICEMBRE 2006
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul tema delle costruzioni abusive condonate ma che violano le norme sulle distanze legali tra gli edifici. Nel caso in esame il Tar aveva annullato la concessione in sanatoria perché la costruzione si poneva ad una distanza inferiore ai tre metri dalle pareti finestrate dei confinanti. Seguiva una lunga serie di ricorsi fino all’ordinanza di demolizione. Nel frattempo è intervenuto il condono edilizio, e il proprietario dell’edificio abusivo ha chiesto di beneficiarne impugnando il provvedimento di demolizione. Nelle more, il Comune rilasciava il permesso in sanatoria. Secondo il giudici, la rilevanza giuridica della concessione edilizia (e quindi della concessione in sanatoria o cosiddetto condono) si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra Comune e privato richiedente, senza estendersi ai rapporti tra privati. La concessione, così come il condono, sono rilasciati sempre con salvezza dei diritti dei terzi, mentre il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al raffronto tra le caratteristiche dell’opera e le norme edilizie che la disciplinano, ai sensi dell’art. 871 codice civile. Pertanto il Consiglio di Stato ha sostenuto che , il condono edilizio interessa i rapporti fra la P.A. e il privato, che può fruirne anche se l’edificio abusivo violi le norme sulle distanze legali. Restano però illesi i diritti dei terzi che possono far valere la violazione delle norme suddette e chiedere il risarcimento dei danni o la demolizione delle opere abusive. L’obbligo di rispettare le distanze legali – spiega la sentenza – deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, anche se condonate; pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle distanze, ha comunque il diritto di chiedere l’abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il condono.
7 - MARCIAPIEDI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 7 DEL 8 GENNAIO 2007
Il marciapiede è una pertinenza d’esercizio della strada (articolo 24 del codice della strada emanato con decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285), che ne costituisce parte integrante. Nella specie, l’apertura al transito di un vicolo chiuso realizza senz’altro, ai fini dell’applicazione della norma di piano regolatore sulla larghezza delle nuove strade, un nuovo assetto viario. Nel merito, è stata ritenuta palesemente irrazionale ed illegittima la scelta, di aprire al traffico un vicolo chiuso a prezzo dell’eliminazione dei marciapiedi e con la carreggiata rasente alle case.
8 - LOCALI COMPLEMENTARI ALLE ABITAZIONI
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA N. 354 DEL 31 GENNAIO 2007
Sono volumi tecnici quelli esclusivamente adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all’interno della parte abitativa, sicché non sono tali i locali complementari all’abitazione (V Sez. 13 maggio 1997, n. 483), come le soffitte o i bagni o qualsiasi altro locale del tipo di quelli progettati nel caso in esame e destinati a formare un unica unità abitativa, da un lato, e privi di una effettiva destinazione ad impianti tecnologici. Sicché, la realizzazione di un locale “sottotetto” mediante vani distinti e comunicanti attraverso una scala interna col piano sottostante, è indice rivelatore dell’intento di rendere abitabile il locale o i locali, non potendosi detti vani considerare volumi tecnici.
9 - NULLA OSTA PAESAGGISTICO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI, SENTENZA N. 1019 DEL 03 MARZO 2007
In materia di riesame del nulla osta paesaggistico, non è legittima la richiesta da parte della Soprintendenza di conoscere, a mezzo di dichiarazione per atto notorio, di un dato temporale che, costituisce elemento del tutto ininfluente agli effetti dell’esercizio dei poteri di riscontro della legittimità del nulla osta sindacale in raffronto alle disposizioni di tutela paesistico/ambientale e di vincolo della zona. (Nel caso in esame è stata richiesta la data in cui è stato consumato l’abuso edilizio, pretesa, che assume esclusivo rilievo ai fini del controllo sulla compatibilità urbanistica ed edilizia dei lavori - in base alla successione nel tempo delle disposizioni che consentono la sanatoria “ex post” - riservato all’esclusiva competenza dell’Autorità comunale.
10 - SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO NEGAZIONE DEL RILASCIO CONCESSIONE EDILIZIA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 6171 DEL 04 DICEMBRE 2007
La quarta sezione del Consiglio di stato ha dichiarato illegittima la negazione del rilascio di una concessione edilizia se manca il piano attuativo previsto dal piano regolatore generale. La sentenza scaturisce dal ricorso presentato da un privato che voleva costruire due fabbricati in un terreno di sua proprietà e a cui era stata negata la concessione edilizia. Il ricorso in prima istanza era stato rigettato in quanto era stato ritenuto corretto il diniego alla concessione perché le opere di urbanizzazione esistenti erano state ritenute insufficienti con la conseguente necessità di costruire opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Il privato aveva, successivamente, presentato ricorso in appello soprattutto perché, essendo già la zona completamente urbanizzata e risultando il lotto di sua proprietà, a suo avviso non c’era necessità di lottizzarlo e di realizzare opere di urbanizzazione. I giudici del Consiglio di stato hanno accettato, quindi, il ricorso spiegando all’amministrazione comunale che si sarebbero dovuti effettuare maggiori controlli sulla sufficienza dei presupposti per il rilascio della concessione edilizia e non si sarebbero dovuti limitare a riferimenti generici a situazioni di stravolgimento urbanistico e alla generica necessità del piano di lottizzazione. I Giudici hanno, dunque, ritenuto illegittimo il diniego di concessione edilizia fondato sulla carenza del piano attuativo prescritto dal Piano regolatore quando l’area interessata dal progetto risulta urbanizzata e l’Amministrazione abbia omesso di valutare in modo rigoroso l’incidenza sulla situazione generale del comprensorio del nuovo insediamento, oggetto della richiesta, quando cioè non si sia adeguatamente tenuto conto dello stato di urbanizzazione già esistente nella zona delle futura insistenza dell’edificazione, né siano state congruamente evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione (Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, numero 5127/2004).Si ha lottizzazione quando si tratta di asservire per la prima volta un’area non ancora urbanizzata ad un insediamento di carattere residenziale o produttivo,
mediante la costruzione di uno o più fabbricati, che obiettivamente esigano per il loro armonico raccordo col preesistente aggregato abitativo la realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettività, vale a dire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria (Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, numero162/1995). La verifica sullo stato di urbanizzazione ai fini della necessità del piano di lottizzazione per il rilascio della concessione edilizia va effettuata tenendo conto della “situazione esistente” (Sentenza del Consiglio di Stato, Sezione V, numero162/1995).
11 - NELL'APPALTO CONCORSO GLI ONERI PER LA SICUREZZA DEL PROGETTO-OFFERTA POSSONO ESSERE INFERIORI A QUELLI DEL BANDO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4378/2008
In un appalto concorso l'offerta del concorrente è composta dal progetto definitivo redatto sulla base del progetto preliminare posto a base di gara stilato dalla Stazione Appaltante. In tal caso l'offerta può prevedere un importo relativo agli oneri di sicurezza, inferiore a quello indicato dalla Stazione appaltante nel bando di gara. Questo, in sintesi, è quanto confermato dal Consiglio di Stato con il pronunciamento in esame. I magistrati ritengono che nel caso dell'appalto concorso il bando indica come presunto l'importo individuato quale base d'asta (comprensivo anche degli oneri di sicurezza) e rimette al singolo offerente la definizione di tale importo in fase di stesura del progetto esecutivo. Ciò è certamente giustificato dalla peculiarità della procedura che affida al concorrente la stesura della progettazione definitiva ed all'aggiudicatario la progettazione esecutiva. Si può infatti verificare che le varianti migliorative, inserite durante la progettazione definitiva ed esecutiva, determinino l'attenuazione degli oneri stessi rispetto all'importo indicativamente riportato nel progetto preliminare messo a concorso. Conseguentemente – proseguono i magistrati - l'indicazione nell'offerta di oneri per la sicurezza in misura inferiore rispetto a quanto indicativamente specificato nel bando di gara, non si traduce in un inammissibile ribasso relativamente agli oneri stessi, bensì in una concreta determinazione di essi conforme alla loro incidenza effettiva, ragguagliata ai contenuti specifici dell'offerta. Sarà compito della commissione aggiudicatrice verificare anche la congruità, tra l'altro, degli oneri di sicurezza individuati dalle singole partecipanti.
12 - VOLUMETRIA REALIZZABILE IN CASO DI FRAZIONAMENTI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2552 DEL 9 GENNAIO 2008
Un’area già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell’ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente al fine di verificare se, in relazione all’intera superficie dell’area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l’ulteriore volumetria di cui si chiede la realizzazione” (cfr. Cons. di Stato, sez. V, 12 luglio 2004 n. 5039). Ai fini del calcolo della volumetria realizzabile non rileva la circostanza che l’unico fondo del proprietario sia stato
suddiviso in catasto in più particelle, dovendosi verificare l’esistenza di più manufatti sul fondo dell’originario unico proprietario (cfr. CdS, sez. V, 26 novembre 1994 n. 1382). Allorché un’area edificabile venga successivamente frazionata in più parti tra vari proprietari, la volumetria disponibile ai sensi della normativa urbanistica nell’intera area permane invariata, con la duplice conseguenza che, nell’ipotesi in cui sia stata già realizzata sul fondo originario una costruzione, i proprietari dei vari terreni, in cui detto fondo è stato frazionato, hanno a disposizione solo la volumetria che residua tenuto conto dell’originaria costruzione e in proporzione della rispettiva quota di acquisto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 1987 n. 91).
13 - IL PIANO ATTUATIVO NON AMMETTE EQUIPOLLENTI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N.531 DEL 19 FEBBRAIO 2008
L’art. 2 l. 1187/1968 (abrogato dall’art. 58, n. 96, d.P.R. 327/2001) non era applicabile nei casi in cui lo strumento urbanistico generale avesse subordinato la realizzazione di alcuni interventi edilizi alla previa emanazione dello strumento attuativo, poiché tale previsione non ha contenuto espropriativo, in quanto mira alla razionalità dell’assetto urbanistico. Tranne il caso limite del cosiddetto lotto intercluso in un contesto integralmente urbanizzato, il piano attuativo, previsto dallo strumento urbanistico come presupposto dell’edificazione e la cui approvazione può essere stimolata dall’interessato con gli strumenti consentiti dal sistema, non ammette equipollenti, nel senso che in sede amministrativa o in quella giurisdizionale non possono essere effettuate indagini volte a verificare.
14 - ESPROPRIAZIONE
CONSIGLIO DI STATO SEZ. IV, SENTENZA N. 677 DEL 26 FEBBRAIO 2008
In base ai principi generali, gli atti della procedura espropriativa, pur classificabili come “plurimi” nei confronti delle diverse ditte proprietarie espropriate, debbono essere considerati come aventi natura di atti “unitari” rispetto ai comproprietari o aventi causa del medesimo bene oggetto di esproprio, con la conseguenza che può farsi questione di conoscibilità legale degli atti emanati, non già di loro validità a causa del subentro. Nel caso di specie, non è ravvisabile alcuna differenza tra le posizioni giuridiche del dante causa, che è stato notificatario, e dell’acquirente che non ha pubblicizzato la compravendita in pendenza dell’esercizio della potestà acquisitiva di cui all’art. 43 del D.P.R. 327/2001.
15 - PREVALENZA DEL TU EDILIZIA SULLA NORMATIVA REGIONALE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2 DEL 07 APRILE 2008
Le norme di principio contenute nel t.u. dell’edilizia abrogano le norme delle regioni a statuto ordinario con esse configgenti. La disciplina in materia di misure di salvaguardia dettata dall’art. 12, c. 3, del d.p.r. n. 380 del 2001 prevale su eventuali norme regionali previgenti di contenuto difforme, quali l’art. 5 della l.r. Lazio n. 24 del 1977 e l’art. 36 della l.r. Lazio n. 38 del 1999, che prevedono un unico termine quinquennale per l’efficacia delle misure di salvaguardia. Ciò ai sensi dell’art. 1, c. 1, del medesimo d.p.r. n. 380/2001, secondo cui “il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia”, nonché dei commi 1 e 3 dell’art. 2, secondo cui, rispettivamente, “le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico” e “le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi
di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi”. L’art. 12, comma 3, del testo unico per l’edilizia ha inteso, nel riprendere i contenuti sostanziali dell’articolo unico della legge n. 1902 del 1952, dettare, pur con norma apparentemente di dettaglio, una disposizione che ben può essere riguardata quale norma di principio che, in armonia con i criteri della trasparenza, efficacia, celerità ed economicità dell’azione amministrativa e, in generale, con gli ordinari canoni di buona amministrazione e nell’ottica dei principi di semplificazione e di non aggravamento del procedimento, vale ad indurre le amministrazioni locali a definire tempestivamente l’iter procedimentale conseguente all’adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione, correlando agli eventuali ritardi burocratici un regime di minor favore, volto, essenzialmente, ad evitare le strumentalizzazioni che un non sollecito esercizio dell’azione amministrativa renderebbe possibile e (con contenuti in certo modo sanzionatori delle spesso defatiganti lungaggini amministrative) a favorire una maggiore
responsabilizzazione degli amministratori locali, in funzione anche dell’esigenza di tutelare il valore costituzionale della proprietà e delle connesse facoltà edificatorie.
16 - DIRITTO DI COSTRUIRE E VOLUMETRIA CONSENTITA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2177 DEL 12 MAGGIO 2008
Un'area edificatoria già utilizzata a fini edilizi è suscettibile di ulteriore edificazione solo quando la costruzione su di essa realizzata non esaurisca la volumetria consentita dalla normativa vigente al momento del rilascio dell'ulteriore permesso di costruire, dovendosi considerare non solo la superficie libera ed il volume ad essa corrispondente, ma anche la cubatura del fabbricato preesistente, al fine di verificare se, in relazione all'intera superficie dell'area (superficie scoperta più superficie impegnata dalla costruzione preesistente), residui l'ulteriore volumetria, di cui si chiede la realizzazione.
17 - È INAMMISSIBILE L’IMPUGNATIVA DEL SILENZIO RIFIUTO OVE IL PRIVATO NON SAPPIA INDICARE IL PROVVEDIMENTO ESPRESSO DI CUI SAREBBE MANCATA LA TEMPESTIVA ADOZIONE.
CONSIGLIO DI STATO SENTENZA N. 2458 DEL 22 MAGGIO 2008
La procedura intesa alla formazione del cd. silenzio inadempimento riguarda le ipotesi in cui, a fronte della formale richiesta rivolta all’Amministrazione, da parte di un privato, per l’emanazione di una determinazione autoritativa, la PA ometta di provvedere entro i termini prestabiliti. Comunque, l’omessa adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio rifiuto solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’Organo amministrativo destinatario della richiesta dell’interessato. Nella sentenza in esame, il Consiglio di Stato afferma che è inammissibile l’impugnativa del silenzio rifiuto ove la parte ricorrente non sappia indicare un provvedimento espresso, legalmente previsto e tipizzato, di cui sarebbe mancata la tempestiva emanazione. Si lascia intendere, in buona sostanza, che l’inerzia dell’Amministrazione si traduce in un inadempimento suscettibile di
impugnativa, ai sensi degli artt. 2 5° comma L. n. 241/90 e 21 bis L. n. 1034 del 1971, non a fronte di un generico dedotto obbligo di provvedere, ma solo in ragione della mancata tempestiva adozione di un provvedimento specifico che è onere del privato individuare con esattezza.
18 - VINCOLO PAESAGGISTICO - AUTORIZZAZIONE A COSTRUIRE - ANNULLAMENTO DA PARTE DELLA SOVRAINTENDENZA ART. 159, D.LGS. N. 42/2004 - ART. 21 BIS L. N. 241/1990.
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2744 DEL 6 GIUGNO 2008
A fini del rispetto del termine di cui all'art. 159 d.lgs. n. 42/2004 non è necessaria la comunicazione all'interessato del decreto di annullamento dell'autorizzazione paesistica da parte della Soprintendenza, essendo sufficiente l'emanazione del provvedimento. Tale conclusione è confermata anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 21 bis l. n. 241/1990 perché tale norma, facendo riferimento agli atti che incidono negativamente nella sfera giuridica del privato, non è applicabile al decreto di annullamento dell'autorizzazione paesistica, in quanto, interviene prima che l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune produca i suoi effetti favorevoli in capo all'interessato e, dunque, non elimina alcuna situazione giuridica già nata.
19 - URBANISTICA E EDILIZIA - PRG-ESERCIZIO DEL POTERE DI PIANIFICAZIONE - POTERI DELL'AMMINISTRAZIONE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2837 DEL 9 GIUGNO 2008
Nell'elaborazione del PRG, le scelte di pianificazione urbanistica relative ad un determinato terreno o immobile appartengono alla sfera degli apprezzamenti di merito dell'amministrazione; non sono quindi ipotizzabili censure di disparità di trattamento basate sulla comparazione con la destinazione impressa ad immobili adiacenti.
20 - LA LEGGE TOGNOLI AMMETTE SOLO AUTORIMESSE COMPLETAMENTE INTERRATE NEL SOTTOSUOLO, ESCLUDENDO L'INTERRAMENTO "IN VERTICALE"
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N.4119 DEL 03 SETTEMBRE 2008
Sono compatibili con la legge “Tognoli” n. 122/1989 solo le autorimesse che non alterino in alcun modo l’aspetto esteriore del territorio e siano completamente interrate (cfr. per tutti T.A.R. Toscana n. 13 del 2004 e V Sez. n. 1608 del 2006). Non possono considerarsi tali le autorimesse che abbiano un lato interamente scoperto, sul quale sia collocato il varco/portale di ingresso ed uscita (interrate solo su tre lati e invece visibili sul quarto). E’ irrilevante, al riguardo, la natura montagnosa e dunque in forte pendenza del terreno nel quale le autorimesse si inseriscono.
21 - ATTUAZIONE DEL PIANO URBANO DI RECUPERO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4304 DEL 09 SETTEMBRE 2008
Il perseguimento dell'interesse pubblico inerente al recupero urbano attraverso il concorso di risorse sia pubbliche che private avvalendosi dello strumento dell'accordo di programma, cui fa espresso richiamo l'art. 11, comma quarto, della legge n. 493/1993, esclude ogni effetto risolutorio al mero decorso del tempo assegnato per l'inizio dei lavori. Per di più, l'art. 34, comma quarto, del d.lgs. n. 267/2000 riconduce, all'accordo di programma approvato dal presidente della Regione gli effetti propri dell'intesa prevista dall'art. 81 del D.p.r. n. 616/1977 quanto alla variazione degli strumenti urbanistici.
22 - GLI ONERI DI SICUREZZA POSSONO ESSERE SOGGETTI A RIBASSO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4378 DEL 17 SETTEMBRE 2008
In un appalto concorso è logico che le varianti migliorativa, inserite durante la progettazione definitiva ed esecutiva, possano determinare un'attenuazione degli oneri di sicurezza rispetto all'importo riportato nel progetto preliminare messo a concorso.
Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza n. 4378 dello scorso 17 settembre, mediante la quale i giudici del Consiglio di Stato hanno ribaltato una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale che aveva accolto il ricorso contro l'aggiudicazione di un appalto concorso ad un Consorzio che aveva effettuato un ribasso degli oneri di sicurezza. Secondo i giudici del TAR, il Consorzio andava escluso dalla procedura avendo offerto un prezzo pari ad euro 3.340.204,18 a fronte di una base d'asta che, seppur indicativamente individuata, dal bando, in euro 3.351.945,03, andava depurata degli oneri di sicurezza, non soggetti a ribasso, stabiliti in euro 100.558,35. Secondo il TAR la base d'asta, non soggetta a rialzo, doveva essere di euro 3.251.386,68. Ed inoltre, viene contestato il fatto che il consorzio aggiudicatario aveva effettato un ribasso sugli oneri di sicurezza. Ma i giudici di Palazzo Spada, disattendendo quanto afferma in primo grado, hanno, innanzitutto, ricordato quanto scritto nel bando ovvero: "l'importo globale a base d'asta è stabilito in € 3.351.945,03, comprensivo …, degli oneri della sicurezza pari ad € 100.558,35,…. Non sono ammesse offerte in aumento rispetto all'importo globale a base d'asta come sopra stabilito."
La puntuale individuazione dell'importo globale a base d'asta, nonché di alcune voci che lo compongono, tra cui gli oneri per la sicurezza, ed il riferimento a tale importo globale, nel divieto di presentazione di offerte in aumento, non giustifica alcuna diversa interpretazione che non sia quella riveniente dal significato letterale delle parole, in base al quale, nel computo della base d'asta complessiva non è consentito espungere il valore degli oneri di sicurezza (i quali sono, invece, espressamente inclusi). Ne discende che l'impresa aggiudicataria non ha violato la prescrizione del bando che vietava le offerte in aumento, avendo presentato un offerta economica pari ad € 3.340.204,18, a fronte di una base d'asta complessiva di € 3.351.945,03. Per quanto riguarda il ribasso degli oneri di sicurezza, rispetto al valore indicato dalla Stazione appaltante negli atti indittivi, i giudici di Palazzo Spada hanno chiarito che il bando indicava come presunto l'importo individuato quale basa d'asta (comprensiva anche degli oneri di sicurezza), rimettendo al singolo offerente la definizione di tale importo in fase di stesura del progetto esecutivo. Ciò era certamente giustificato dalla peculiarità della procedura in questione (appalto-concorso da aggiudicarsi all'offerta economicamente più vantaggiosa) che affida al concorrente la stesura della progettazione definitiva ed esecutiva. In tali procedure, è logico che gli oneri relativi alla sicurezza vadano rapportati a tali progetti in corso di redazione, potendosi, dunque, verificare che le varianti migliorative, inserite durante la progettazione definitiva ed esecutiva, possano determinare un'attenuazione degli oneri stessi rispetto all'importo indicativamente riportato nel progetto preliminare messo a concorso. In definitiva, l'indicazione nell'offerta di oneri per la sicurezza in misura inferiore rispetto a quanto indicativamente specificato dagli atti indittivi non si traduce in un inammissibile ribasso relativamente agli oneri stessi, bensì in una concreta determinazione di essi conforme alla loro incidenza effettiva, ragguagliata ai contenuti specifici dell'offerta. Spetta, poi, ovviamente alla commissione incaricata di valutare le offerte (tecniche ed economiche) verificare la congruità, tra l'altro, anche degli oneri di sicurezza individuati dalle singole partecipanti.
23 - PARCHEGGI PERTINENZIALI EX ART. 9 L. 122/89. NON SUSSISTE VIOLAZIONE DELLA NORMATIVA SE È STATA RILASCIATA CONCESSIONE EDILIZIA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4430 DEL 17 SETTEMBRE 2008
A norma dell’art. 9 L. n. 122/1989, recante, tra le altre, disposizioni in materia di parcheggi, i proprietari di immobili, previa denuncia di inizio attività (cd. DIA), possono realizzare nel sottosuolo o nei locali siti al piano terreno dei fabbricati, parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unità immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Tali parcheggi possono altresì essere realizzati, ad uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo delle aree pertinenziali esterne al fabbricato, purché non in contrasto con i piani urbani del traffico. Va ricordato inoltre come i parcheggi realizzati ai sensi della ridetta normativa non possono essere ceduti separatamente dall’unità immobiliare alla quale sono legati da vincolo
pertinenziale e come i relativi atti di cessione siano nulli. Nondimeno, se per la realizzazione di un locale da adibirsi ad autorimessa (ricavato da una precedente legnaia) che non si trovi nel sottosuolo o al piano terreno del fabbricato, sia stata rilasciata concessione edilizia, non può configurarsi alcuna violazione dell’art. 9 della legge summenzionata.
24 - PROGETTISTA ESTERNO NOMINATO RESPONSABILE DELL’UFFICIO TECNICO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N.517522 DEL 22 OTTOBRE 2008
Un Comune che abbia conferito ad un progettista esterno l’incarico di responsabile dell’Ufficio Tecnico, non può affidargli incarichi di progettazione compensati sulla base della tariffa professionale. Lo ha chiarito il Consiglio di Stato con la Sentenza n.517522 del 22 ottobre 2008. I Giudici ricordano che, in base all’art. 17 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, le stazioni appaltanti potevano affidare gli incarichi di cui si tratta a propri dipendenti ovvero a professionisti esterni, con disciplina
diversa quanto ai meccanismi di affidamento e quanto alla remunerazione. Infatti, i rapporti con professionisti esterni vengono instaurati secondo procedimenti da pubblicizzare adeguatamente ed ai quali possono partecipare tutti i soggetti in possesso della qualificazione necessaria; la remunerazione è stabilita in base alle tariffe professionali vigenti, ed è oggetto di confronto concorrenziale. Invece, il Comune in questione ha affidato ad un professionista interno (anche se a termine) alla propria struttura un incarico professionale che poi ha retribuito secondo il regime proprio dei rapporti con i professionisti esterni. Il Comune ha quindi confuso i due regimi, affidando contratti di rilevanza esterna con la libertà di scelta che gli è propria nell’ambito delle decisioni interne. Giustamente quindi l’Authority ha affermato che l’affidamento di incarichi di progettazione e direzione nei confronti del professionista deve avvenire nel rispetto della normativa sull’affidamento degli incarichi a dipendenti dell’ente e gli stessi devono essere retribuiti secondo il sistema normativo proprio dei dipendenti. Il Comune, invece, ha affidato gli incarichi in questione utilizzando l’ampia sfera di discrezionalità riconosciuta dall’art. 17 quando intenda avvalersi dei propri dipendenti, ed anzi nemmeno afferma di avere esplicitato le valutazioni richieste dall’art. 17; gli incarichi in parola sono stati poi pagati sulla base della tariffa professionale, senza impostare alcun raffronto fra professionisti. Sulla base di queste considerazioni, il ricorso del Comune è stato respinto.
25 - NATURA GIURIDICA DELLA DENUNCIA DI INIZIO ATTIVITÀ
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N.5811 DEL 25 NOVEMBRE 2008
La D.I.A. costituisce autorizzazione implicita all’effettuazione dell’attività edilizia, con la conseguenza che i terzi possono agire innanzi al Giudice amministrativo, per chiederne l’annullamento, avverso il titolo abilitativo formatosi per il decorso del termine, entro cui l’Amministrazione può impedire gli effetti della d.i.a." per chiederne l’annullamento (cfr., in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 5.4.2007, n. 1550 e sez. V, 20.1.2003, n. 172). A fronte della comunicazione dell’interessato che, ad una certa data (non anteriore ai trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione “corredata, anche per mezzo di autocertificazioni, delle certificazioni e delle attestazioni normativamente richieste”) inizierà una certa attività, se entro 30 giorni decorrente da tale comunicazione l’Amministrazione non ne inibisce la prosecuzione (con un atto che ha natura di accertamento dei motivi giuridico-fattuali ostativi allo svolgimento dell’attività e, dunque, del tutto analogo ad un provvedimento di diniego di un atto autorizzatorio dell’attività medesima, sì che deve ritenersi in tal caso applicabile il disposto dell’art. 10-bis della legge n. 241/90 e che invece, verificandosi in tale ipotesi una sorta di inversione procedimentale, non necessita di previa comunicazione dell’avvio del procedimento: Consiglio Stato, sez. VI, 23 dicembre 2005, n. 7359), il titolo si consolida, salvo l’intervento successivo di interdizione dell’attività, che può intervenire in tutti i casi di accertamento della mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti, al cui possesso l’ordinamento di settore subordini l’espletamento dell’attività medesima (Cons. St., IV, 26 luglio 2004, n. 5323). Il suddetto atto di comunicazione dell’avvio dell’attività, a differenza di quanto accade nel caso del c.d. silenzio
- assenso, disciplinato dall’art. 20 l. 241-1990, non è una domanda, ma una informativa, cui è subordinato l’esercizio del diritto. Il provvedimento si forma con l’esperimento di un ben delineato modulo procedimentale, all’interno del quale la D.I.A. costituisce pur sempre una autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento, sulla quale la P.A. svolge una attività eventuale di controllo, al tempo stesso prodromica e funzionale al formarsi, a séguito del mero decorso di detto periodo di tempo (e non, dunque, dell’effettivo svolgimento della attività medesima), del titolo necessario per il lecito dispiegarsi della attività del privato. Anche dopo il decorso del termine di trenta giorni previsto per la verifica dei presupposti e requisiti di legge, l’Amministrazione non perde i propri poteri di autotutela, né nel senso di poteri di vigilanza e sanzionatori, né nel senso di poteri espressione dell’esercizio di una attività di secondo grado (estrinsecantisi nell’annullamento d’ufficio e nella révoca, a proposito dei quali va peraltro rilevato che, nell’ipotesi in cui la legittimità dell’opera edilizia dipenda da valutazioni discrezionali e di merito tecnico che possono mutare nel tempo, il potere di autotutela, esercitabile con riferimento ad una d.i.a. anche quando sia ormai decorso il termine di decadenza per l’esercizio dei poteri inibitori ex art. 23, comma 6, del D.P.R. n. 380/01, deve essere opportunamente coordinato con il principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia del legittimo affidamento del privato nei confronti dell’attività amministrativa); mentre i terzi, che si assumano lesi dal silenzio prestato dall’Amministrazione a fronte della presentazione della d.i.a., si graveranno legittimamente non avverso il silenzio stesso, ma, nelle forme dell’ordinario giudizio di impugnazione, avverso il titolo, che, formatosi e consolidatosi nei modi di cui sopra, si configura in definitiva come fattispecie provvedimentale a formazione implicita.
26 - LA TRASFORMAZIONE DI DUE MANUFATTI AGRICOLI IN VILLA AD USO RESIDENZIALE, CON ACCORPAMENTO DI VOLUMI E PARZIALE SPOSTAMENTO DELL’AREA DI SEDIME, ESULA DALLA NOZIONE DI RISTRUTTURAZIONE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 6214 DEL 16 DICEMBRE 2008
La trasformazione di due manufatti agricoli in villa ad uso residenziale, con accorpamento di volumi e parziale spostamento dell’area di sedime, esula dalla nozione di ristrutturazione, sia come attualmente definita dall’art. 3, comma 1, lettera d) del D.P.R. 6.6.2001, n. 380 (Testo Unico dell’Edilizia), sia in rapporto alla elaborazione giurisprudenziale, riferita al previgente art. 31, comma 1, lettera d), l. 457/1978. Ciò che distingue, infatti, gli interventi di tipo manutentivo e conservativo da quelli di ristrutturazione è, indubbiamente, il carattere innovativo di quest’ultima in ordine all’edificio preesistente; ciò che contraddistingue, però, la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una
edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un “insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma – in quest’ultimo caso – con ricostruzione, se non “fedele” (termine espunto dall’attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (cfr. per il principio, comunque pacifico, Cons. St., sez. IV, 28.7.2005, n. 4011; Cons. St., sez. VI, 9.9.2005, n. 4668; Cons. St., sez. V, 29.5.2006, n. 3229; Cons. St., sez. V, 30.8.2006, n. 5061; Cons. St. sez. IV, 26.2.2008, n. 681; Cons. St., sez. V, 4.3.2008, n. 918; Cons. St., sez. IV, 16.6.2008, n. 2981).
27 - APPALTI, L'"ESPERIENZA" DI SETTORE NON È UN CRITERIO DI VALUTAZIONE LEGITTIMO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2716/2009
In una gara a evidenza pubblica con procedura aperta, da aggiudicarsi mediante il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, è illegittimo l'inserimento, tra gli elementi di valutazione dell'offerta, il requisito delle "esperienze simili già maturate nello stesso specifico settore", in quanto lo stesso è da considerarsi criterio soggettivo, per l'individuazione della capacità tecnica richiesta ai concorrenti, in sede di prequalificazione, proprio per l'accertamento soggettivo della loro capacità a poter partecipare alla gara. Nella sentenza viene anche ribadito che è irrilevante, ai fini della legittimazione, il fatto che "le caratteristiche specifiche dell'attività oggetto della procedura avrebbero giustificato e legittimato il riferimento a dette esperienze ai fini della valutazione dell'offerta, stante la chiara ratio della normativa richiamata, che non consente alcuna deroga teorico-concettuale, né alcuna conseguente commistione tra i due gruppi di criteri, tra loro incompatibili. Tale principio vale sia per gare precedute da prequalificazione, sia per quelle a procedura aperta, ossia di pubblico incanto non preceduto dalla fase di prequalificazione (com'è nella specie), giacché in entrambi i casi si verte sempre in tema di requisiti di partecipazione utilizzati anche ai fini dell'assegnazione dei punteggi tecnici, con conseguente commistione illegittima dei medesimi e, in ultima analisi, violazione della par condicio tra i concorrenti.
28 - CONCORSO INDETTO DA UN COMUNE: LA DELIBERA DI MODIFICA DEL BANDO PUÒ ESSERE RESA NOTA MEDIANTE PUBBLICAZIONE ALL’ALBO PRETORIO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 638 DEL 5 FEBBRAIO 2009
La delibera giuntale con la quale un’Amministrazione comunale abbia modificato le modalità di svolgimento di una procedura concorsuale, introducendo prove non contemplate nell’originaria formulazione del bando, può essere portata a conoscenza dei concorrenti mediante pubblicazione all’Albo pretorio, senza che occorra una comunicazione diretta, a costoro, delle modifiche occorse.
29 - NATURA GIURIDICA DELLA D.I.A.
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 717 DEL 9 FEBBRAIO 2009
La d.i.a., in definitiva, è un atto di un soggetto privato e non di una pubblica amministrazione, che ne è invece destinataria, e non costituisce, pertanto, esplicazione di una potestà pubblicistica.
30 - VALIDITÀ DEL DURC NEGLI APPALTI PUBBLICI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 1458 DEL 12 MARZO 2009
Revoca dell'aggiudicazione per irregolarità avvenute durante il periodo di validità del DURC in possesso dell'impresa. La regolarità contributiva e fiscale delle imprese partecipanti a gare di appalto pubblico deve essere presente al momento della domanda di partecipazione, della presentazione dell'offerta nonché in tutti i momenti successivi, anche dopo la definitiva aggiudicazione. È questo il principale assunto ricavabile dall'importante sentenza in esame, con la quale il Consiglio di Stato ha fatto il punto sul tema della regolarità contributiva negli appalti pubblici. Nella fattispecie è stato esaminato il caso di una società che alla data della domanda di partecipazione aveva dichiarato la propria regolarità contributiva, sulla scorta del DURC rilasciato alla stessa e la cui validità mensile, giusta la disposizione di cui all'art. 7 del D.M. 24.10.2008 ed i chiarimenti forniti con la Circolare Ministeriale n. 5/2008 ne comportava la scadenza dopo il termine del periodo di gara. Avendo la stazione appaltante provveduto al controllo dei requisiti dichiarati in sede di gara, con particolare riguardo alla regolarità contributiva, sarebbero emerse irregolarità alla data dell'avvenuta aggiudicazione, seppure come detto tale data fosse coperta dal DURC di cui l'impresa era in possesso. All'esito di tali irregolarità è stata disposta la revoca dell'aggiudicazione. I Giudici hanno dunque ritenuto corretto l'operato della stazione appaltante, e di conseguenza legittima la revoca dell'aggiudicazione, sulla base dell'assunto che è incontestabile l'esigenza di verificare l'affidabilità dei soggetti partecipanti alla gara fino alla conclusione della stessa, a tutela degli interessi pubblici coinvolti. Di conseguenza l'eventuale accertamento di pendenze a carattere tributario o previdenziale in capo all'impresa aggiudicataria, seppure avente origine in data successiva alla scadenza del procedimento di scelta del contraente implica l'impossibilità di stipulare il contratto con l'impresa ovvero la risoluzione dello stesso,
se già stipulato. Entità della violazione e adempimento tardivo :
Si ricorda che l'art. 7, comma 3, del già citato D.M. 24.10.2007 dispone che in mancanza dei requisiti di regolarità contributiva gli Istituti competenti invitano l'interessato a regolarizzare la propria posizione entro 15 giorni. L'art. 8, comma 3, del medesimo decreto dispone inoltre la non rilevanza nell'ambito degli appalti pubblici delle violazioni di lieve entità (come ivi definite), fermo restando l'obbligo di integrare il versamento entro 30 giorni dalla data di rilascio del DURC. La Corte, sulla base al principio che la legittimità di un provvedimento (nella fattispecie la revoca dell'aggiudicazione) va valutata in relazione alle norme vigenti al tempo in cui lo stesso è adottato, ha peraltro giudicato irrilevanti queste norme nell'ambito della fattispecie discussa, essendo il decreto entrato in vigore in epoca successiva alla gara.
Altri importanti principi ribaditi dalla sentenza in commento sono i seguenti:
- la verifica della regolarità contributiva delle imprese partecipanti alle procedure di gara per l'aggiudicazione di appalti pubblici è demandata agli Istituti di previdenza, le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti, che non possono sindacarne il contenuto;
- nel caso in cui un bando di gara di appalto pubblico non preveda l'obbligo per l'impresa aggiudicataria di presentare alla stazione appaltante la certificazione relativa alla regolarità contributiva, il medesimo bando deve intendersi integrato dalla prescrizione di tale obbligo.
31 - INTERVENTI EDILIZI SOGGETTI ALLA NORMATIVA ANTISISMICA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 3706 DEL 12 GIUGNO 2009
Qualsiasi opera la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità in zona sismica, e non solo le nuove costruzioni, è soggetta alle specifiche norme tecniche previste dall’art. 3 l. 2-2-1974, n. 64 “Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per le zone sismiche”. Il legislatore ha applicato un concetto trasversale, indifferente ed autonomo rispetto ad altre classificazioni valevoli nella disciplina edilizia, e tale da essere tendenzialmente omnicomprensivo di tutte le vicende in cui venga in questione la realizzazione di una costruzione. Le previsioni della normativa antisismica non sono soggette ad una considerazione di compatibilità con la disciplina urbanistica, ma si sommano a questa, venendo a determinare, complessivamente intese, il quadro della regolamentazione degli interventi edilizi sul territorio.
32 - DINIEGO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE : ILLEGITTIMO SE NELLA MEDESIMA ZONA SONO STATI RILASCIATI IN PRECEDENZA ALTRI TITOLI ABILITATIVI EDILIZI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 5401 DEL 09 SETTEMBRE 2009
E' illegittimo negare il rilascio di concessione edilizia, per asserita inedificabilità della zona, nel caso in cui risulti che, per la medesima zona, siano stati in precedenza rilasciati altri titoli abilitativi edilizi in favore sia degli stessi che di altri richiedenti, in considerazione del fatto che la zona stessa è stata sempre ritenuta edificabile. Sulla base di questo principio il Consiglio di Stato ha accolto un ricorso avverso il diniego di rilascio del permesso di costruire in riferimento ad un'area inizialmente destinata dal PRG a zona semintensiva e poi zonizzata dalla successiva variante generale a zona di edilizia esistente, completamento e ristrutturazione, come attestato dal certificato di destinazione urbanistica. In tale situazione urbanistica era stata rilasciata concessione edilizia per la realizzazione di un fabbricato composto da un piano interrato e un piano terra, e successivamente invece negata una variante alla medesima concessione, pur sussistendone i necessari standard urbanistici, adducendo la ragione che si trattava di area demaniale. In questo caso, prosegue la Corte, sussiste se non altro in capo all'Amministrazione un più stringente dovere di istruttoria e di motivazione del provvedimento, ferme restando le ulteriori determinazioni dell'Amministrazione stessa sulla effettiva spettanza del titolo concessorio favorevole, in ragione della effettiva edificabilità o inedificabilità dell'area. Conclude la Corte affermando inoltre che è illegittimo il diniego di rilascio di concessione edilizia adottato senza il prescritto parere della Commissione Edilizia Centrale, non essendo sufficiente che tale fase obbligatoria sia stata rispettata nell'ambito di un precedente procedimento, chiusosi negativamente per altro motivo.
33 - ESCLUSIONE AUTOMATICA OFFERTE ANOMALE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 5589 DEL 18 SETTEMBRE 2009
È illegittima l'esclusione da una procedura di gara ad evidenza pubblica di una offerta ritenuta anormalmente bassa, senza che la stessa sia stata sottoposta a verifica in alcun modo e senza che il concorrente sia stato messo in condizione di presentare le proprie giustificazioni. È quanto affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza in esame, sulla base di principi del diritto comunitario ritenuti ormai acquisiti nell'ordinamento italiano, secondo i quali la presunta anomalia dell'offerta impone alla pubblica amministrazione di avviare una fase di contraddittorio con l'impresa. Prosegue la Corte ritenendo che il giudizio di verifica della congruità di un'offerta anomala ha natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme,
e costituisce espressione di un potere tecnico-discrezionale dell'Amministrazione di per sé insindacabile in sede giurisdizionale. Fa peraltro eccezione l'ipotesi in cui siano state fatte valutazioni manifestamente illogiche o fondate su insufficiente motivazione o affette da errori di fatto. Deve pertanto secondo i Giudici ritenersi illegittima una sentenza che tenta di sindacare l'offerta sotto il profilo della mancata allegazione dell'analisi dei costi, la quale rappresenta l'esito di una non consentita valutazione di merito.
34 - APPOSIZIONE DEL VINCOLO DI INTERESSE STORICO ARTISTICO - CRITERI DI VALUTAZIONE.
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI, DECISIONE N. 5869 DEL 29 SETTEMBRE 2009
L’apposizione da parte della Soprintendenza per i beni ambientali ed architettonici del vincolo storicoartistico su un dato immobile è espressione di un potere nel quale sono presenti sia momenti di discrezionalità “tecnica”, sia momenti di propria discrezionalità amministrativa. La valutazione è prerogativa esclusiva dell’Amministrazione e può essere sindacata in sede giurisdizionale solo in presenza profili di incongruità ed illogicità di evidenza tale da far emergere l’inattendibilità della valutazione tecnicadiscrezionale compiuta. Nei casi in cui emergano in giudizio più soluzioni tutte opinabili, ma al tempo stesso tutte attendibili, deve certamente essere mantenuta la scelta compiuta dall’Amministrazione perché è a questa che l’ordinamento attribuisce in prima battuta la cura dell’interesse pubblico e, quindi, il potere di vagliare la sussistenza dei presupposti per l’apposizione dei vincoli archeologico e storico-artistico. Diversamente si assisterebbe, infatti, ad una inammissibile sostituzione del giudice all’amministrazione.
35 - LE PICCOLE IRREGOLARITÀ DELL’AZIENDA NON PRECLUDONO LA PARTECIPAZIONE ALLA GARA
CONSIGLIO DI STATO, DECISIONE N.5896 DEL 30 SETTEMBRE 2009
Qualche irregolarità dell’azienda non preclude la partecipazione alle gare di appalto. Infatti un “piccolo illecito contributivo” commesso dal rappresentante legale non può avere come conseguenza l’esclusione dell’impresa dalla gara. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con la decisione in esame ha respinto il ricorso del Comune di Rimini.
36 - AVVALIMENTO CONSENTITO PER ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI PROFESSIONISTI
CONSIGLIO DI STATO, DECISIONE N. 7054 DEL 12 NOVEMBRE 2009
Un raggruppamento temporaneo di professionisti può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per attività accessorie e complementari preventivamente individuate all'interno del bando. Questa la decisione del Consiglio di Stato che con la sentenza in esame conferma una precedente sentenza del TAR Lombardia - Sezione di Milano. Il problema, per la sentenza in argomento, scaturiva dal fatto che alcune società facenti parte dei raggruppamenti che si erano classificati primo e secondo in una gara di appalto indetta da una amministrazione comunale per l’affidamento dei servizi di progettazione aventi per oggetto interventi di riqualificazione edilizia, strutturale ed architettonica di edifici, nonché di restauro e conservazione degli elementi decorativi e pittorici esistenti all’esterno ed all’interno degli edifici e di riqualificazione delle aree esterne, avevano inserito all’interno del raggruppamento temporaneo altri soggetti costituiti in società commerciali. In verità dai documenti agli atti era, anche, possibile rilevare come le prestazioni di carattere progettuale relative all’appalto sarebbero state svolte dai professionisti iscritti ai relativi albi mentre gli altri soggetti facenti parte del Raggruppamento avrebbero svolto alcune attività accessorie e complementari
preventivamente individuate dal bando- Il problema sollevato al Consiglio di Stato non riguarda la qualificazione professionale dei soggetti che si sono classificati primo e secondo, ma il fatto che nei due raggruppamenti figuravano imprese specialistiche
operanti esclusivamente nel proprio ambito di competenza, che non avrebbero avuto alcun titolo alla partecipazione alla gara né potevano essere parti del contratto oggetto della gara, riservato, secondo quanto previsto agli articoli 90 e 91 del Codice dei contratti, prima delle modifiche introdotte dal terzo correttivo (D.lgs. n. 152/2008) con cui al comma 1 è stata inserita la lettera f-bis), solo ai soggetti ivi individuati. In buona sostanza, anche per le attività accessorie doveva essere individuato un soggetto in possesso dei requisiti soggettivi previsti dal codice dei contratti mentre, nei fatti, con l’istituto dell’avvalimento, l’aggiudicataria avrebbe aggirato od eluso le norme che riservano la progettazione soltanto a soggetti abilitati. I giudici
della Consiglio di Stato, hanno ritenuto, invece, che la commissione di gara ha inteso colmare, con lo strumento della partecipazione in raggruppamento e con il richiamo all’istituto dell’avvalimento, carenze dei requisiti soggettivi delle imprese facenti parte del raggruppamento aggiudicatario chiamate alla progettazione e che correlativamente, le imprese commerciali indicate, facenti parte del raggruppamento, in quanto chiamate ad attività accessorie e del tutto complementari rispetto alla attività di progettazione, non erano tenute ad alcuna iscrizione. D’altra parte, prima del terzo correttivo la Commissione europea aveva aperto con nota C 82008 0108 del 30 gennaio 2008, una procedura di infrazione nei confronti dello Stato Italiano in relazione al codice dei contratti fissando alcuni principi interpretativi pertinenti al caso in esame e la procedura di infrazione aveva portato alla pubblicazione del terzo decreto correttivo al codice degli appalti che risulta modificato, tra l’altro, proprio
agli articoli 90 e 91.
37 - APPALTI PUBBLICI: PERDE LA CAUZIONE LA VINCITRICE ESCLUSA PER IRREGOLARITÀ CONTRIBUTIVE
CONSIGLIO DI STATO, DECISIONE N.7255 DEL 19 NOVEMBRE 2009
Perde la cauzione l’impresa vincitrice dell’appalto alla quale è stata annullata l’aggiudicazione dall’amministrazione per irregolarità contributive. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che ha affermato che “in tema di appalto, poiché una tra le funzioni della
cauzione provvisoria è quella di garantire la veridicità delle dichiarazioni fornite dalle imprese in sede di partecipazione alle gare in ordine al possesso dei requisiti stabiliti dal bando, al fine di assicurare serietà e correttezza all’intero procedimento di gara e di liquidare forfetariamente il danno subito dalla stazione appaltante , il suo incameramento è legittimo in caso dell’inadempimento del partecipante. Tale funzione non viene meno per effetto dell’aggiudicazione provvisoria , quando questa risulti comunque superata per effetto della successiva esclusione dell’impresa aggiudicataria per assenza dei requisiti partecipativi”.
38 - LE IMPRESE DI QUALUNQUE CONSORZIO CHE PARTECIPA ALLA GARA DEVONO AVERE I REQUISITI DI AFFIDABILITÀ
CONSIGLIO DI STATO, DECISIONE N. 7380 DEL 24 NOVEMBRE 2009
Da Palazzo Spada una stretta sui requisiti dei consorzi che partecipano a un appalto. Infatti a prescindere dal tipo di consorzio, incluso quello stabile, tutte le società che vi partecipano devono possedere i requisiti di carattere morale e di affidabilità. Lo ha ribadito il Consiglio di stato che, considerato indifferente la tipologia del consorzio, ha rafforzato il principio secondo cui “i requisiti di carattere morale e di affidabilità devono essere posseduti da tutte e da ciascuna delle imprese che partecipano ad un consorzio”.
39 - IL CONDONO EDILIZIO NON CANCELLA LA VIOLAZIONE DELLE NORME SULLE DISTANZE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 8262 DEL 30 DICEMBRE 2006
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul tema delle costruzioni abusive condonate ma che violano le norme sulle distanze legali tra gli edifici. Nel caso in esame il Tar aveva annullato la concessione in sanatoria perché la costruzione si poneva ad una distanza inferiore ai tre metri dalle pareti finestrate dei confinanti. Seguiva una lunga serie di ricorsi fino all’ordinanza di demolizione. Nel frattempo è intervenuto il condono edilizio, e il proprietario dell’edificio abusivo ha chiesto di beneficiarne impugnando il provvedimento di demolizione. Nelle more, il Comune rilasciava il permesso in sanatoria. Secondo il giudici, la rilevanza giuridica della concessione edilizia (e quindi della concessione in sanatoria o cosiddetto condono) si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra Comune e privato richiedente, senza estendersi ai rapporti tra privati. La concessione, così come il condono, sono rilasciati sempre con salvezza dei diritti dei terzi, mentre il conflitto tra proprietari, interessati in senso opposto alla costruzione, va risolto in base al raffronto tra le caratteristiche dell’opera e le norme edilizie che la disciplinano, ai sensi dell’art. 871 codice civile. Pertanto – continua il Consiglio di Stato, il condono edilizio interessa i rapporti fra la P.A. e il privato, che può fruirne anche se l’edificio abusivo violi le norme sulle distanze legali. Restano però illesi i diritti dei terzi che possono far valere la violazione delle norme suddette e chiedere il risarcimento dei danni o la demolizione delle opere abusive. L’obbligo di rispettare le distanze legali – spiega la sentenza – deve essere osservato a maggior ragione nel caso di costruzioni abusive, anche se condonate; pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso dalla
violazione delle distanze, ha comunque il diritto di chiedere l’abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il condono.
40 - ACCERTAMENTO DI CONFORMITÀ E PERMESSO DI COSTRUIRE IN SANATORIA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 4838 DEL 17 SETTEMBRE 2007
Con la sentenza in oggetto il Consiglio di Stato ha chiarito quale sia la corretta interpretazione dell'art. 36 del DPR 380/2001 (TU dell'edilizia), relativo all'accertamento di conformità, ed alla conseguente possibilità di ottenere il permesso di costruire in sanatoria, di interventi realizzati in assenza di permesso o in difformità dallo stesso, ma conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente. Si ricorda in proposito che detto art. 36 (ex art. 13, L. 47/1985) dispone testualmente che «In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 22, comma 3, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma
3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda». Sulla questione il Consiglio di Stato ribadisce che l'art. 36 del DPR 380/2001 consente l'accoglimento di domande di accertamento di conformità solo in presenza della cosiddetta duplice conformità: le opere abusive possono essere oggetto di accoglimento dell'istanza solo quando esse risultino non solo conformi allo strumento urbanistico vigente alla data di emanazione dell'atto che esamina l'istanza, ma anche conformi allo strumento urbanistico vigente alla data in cui sono commessi gli abusi.
41 - CONDONO LEGITTIMO PER IL CONSIGLIO DI STATO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 6332 DEL 10 DICEMBRE 2007
La quarta sezione del Consiglio di stato, con la sentenza in esame ha dichiarato legittimo rilasciare il condono edilizio nonostante ci sia la violazione delle distante legali. Il comune, infatti, quando rilascia un condono non è tenuto a considerare i rapporti esistenti tra privati. Il fatto si riferisce ad un ricorso presentato da due privati contro la decisione di rilasciare il condono in favore della proprietaria di un appartamento, confinante con l’abitazione dei due predetti, per la costruzione di un terrazzo in quanto venivano violati i diritti di terzi e soprattutto le distanze minime legali. La sentenza di primo grado aveva dato ragione ai due privati provocando il ricorso in appello sia della proprietaria che dell’amministrazione locale che sostenevano l’obbligatorietà del rilascio del titolo edilizio in sanatoria straordinaria ex art. 32 del decreto legge n. 269/2003. Il Consiglio di stato ha, quindi, dato parere favorevole al rilascio del condono poiché, per l’art. 11 del Testo unico dell’edilizia, la rilevanza giuridica del condono straordinario si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico e non si stende ai rapporti tra privati. La conseguenza di questa sentenza è la seguente: l’autore dell’abuso, quindi, può usufruire del permesso anche se si violano le distanze minime legali, il comune si può disinteressarsi della vicenda e il terzo leso, se non ha subito pregiudizio dal rilascio del titolo, può ottenere tutela davanti al giudice.
42 - SANATORIA EDILIZIA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 351 DEL 06 FEBBRAIO 2008
In materia di sanatoria, il mancato versamento degli oneri di concessione, la mancata planimetria e la relativa ricevuta della presentazione al catasto, impediscono la formazione del silenzio-assenso. Nella specie, il silenzio-assenso è escluso in quanto l’opera realizzata in zona boschiva, non è sanabile (articoli 29, comma 12, e 27 della legge provinciale 21 gennaio 1987 n. 4).
43 - DETERMINAZIONE OBLAZIONE ED ONERI CONCESSORI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 1804 DEL 26 MARZO 2009
Vale solo il criterio della destinazione urbanistica dell'area secondo i giudici del Consiglio di Stato. E' legittimo il provvedimento con il quale un Comune, in sede di esame di una istanza di condono edilizio, ha determinato le somme dovute a titolo di oblazione e di oneri concessori ponendo a base del calcolo di questi ultimi la natura agricola dei manufatti abusivi, nel caso di costruzione abusiva che, all'epoca della realizzazione, ricadeva in zona agricola ed ove peraltro risulti che una parte almeno delle opere abusive da sanare era destinata in via immediata e diretta alla coltivazione. Sulla base del suddetto principio il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1804 del 26.3.2009, ha respinto il ricorso avanzato dal titolare di un allevamento
di cavalli, il quale aveva richiesto domanda di sanatoria edilizia avente ad oggetto tre corpi di fabbrica destinati a maneggio di cavalli, deposito di attrezzi e prodotti agricoli ed annessi servizi igienici, ed altre strutture connesse. La Corte ha in proposito affermato che per determinare gli oneri di urbanizzazione applicabili ad una costruzione occorre prendere in considerazione, ai sensi dell'art. 5, comma 1, lettera c), della L. 10/1977, poi trasposto nell'art. 16, comma 4, lettera c), del D.P.R. 380/2001, le destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti. Non è quindi consentito, ai predetti fini, scorporare il criterio di quantificazione degli oneri di urbanizzazione dalla effettiva zonizzazione prevista dallo strumento urbanistico generale. Solo in via sussidiaria, e comunque per il perseguimento di preminenti interessi pubblici, il Comune può valorizzare ulteriori parametri, diversi dalla destinazione di zona, ferma restando comunque la necessità di un loro aggancio con il carico urbanistico individuabile per la zona stessa.
44 - ANCHE GLI EDIFICI SENZA TITOLO CONCORRONO A FORMARE L'INDICE DI DENSITÀ TERRITORIALE
CONSIGLIO DI STATO - ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA N. 3 DEL 23 APRILE 2009
La densità territoriale è riferita a ciascuna zona omogenea e definisce il complessivo carico di edificazione che può gravare sulla stessa, con la conseguenza che il relativo indice è rapportato sia all’intera superficie sottoposta alla medesima vocazione urbanistica sia alla concreta insistenza di costruzioni. Perché il computo rispecchi la realtà effettuale non rileva certo la sussistenza o meno del prescritto titolo autorizzatorio o abilitativo all’intervento edilizio, ma la reale situazione dei luoghi con il carico di edificazione in concreto accertato. Qualsiasi costruzione, anche se eretta senza il prescritto titolo, concorre al computo complessivo della densità territoriale (C.d.S., IV, 26 settembre 2008, n. 4647; IV, 29 luglio 2008, n. 3766; IV, 12 maggio
2008, n. 2177; IV, 11 dicembre 2007, n. 6346; V, 27 giugno 2006, n. 4117; V, 12 luglio 2005, n. 3777: V, 12 luglio 2004, n. 5039; IV, 6 settembre 1999, n. 1402). L’asservimento è una fattispecie negoziale atipica ad effetti obbligatori in base ai quali un’area viene destinata a servire al computo dell’edificabilità di altro fondo. L’asservimento realizza, in definitiva, una specie particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro. Sebbene la tecnica dell’asservimento abbia trovato la propria peculiare ragion d’essere e si sia sviluppata dopo l’introduzione di limiti inderogabili di densità edilizia, è tuttavia incontestabile che relazioni pertinenziali rilevanti possono essersi determinate anche prima dell’entrata in vigore dell’articolo 17 della legge n. 765 del 1967 in ragione della obiettiva destinazione e configurazione dei fondi effettuata da chi ne aveva titolo e disponibilità.
45 - E' LEGITTIMA LA SANATORIA DI OPERE CONFORMI ALLA NORMATIVA VIGENTE AL MOMENTO IN CUI IL COMUNE PROVVEDE SULLA DOMANDA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 2835 DEL 07 MAGGIO 2009
La sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito di conformità “sopraggiunta” dell’intervento in un primo tempo illegittimamente assentito, divenuto cioè permissibile al momento della proposizione della nuova istanza dell’interessato, posto che questa si profila come del tutto autonoma rispetto all’originaria istanza che aveva condotto al permesso annullato in sede giurisdizionale, in quanto basata su nuovi presupposti normativi in materia edilizia; è pertanto palesemente irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza. Il principio normativo della “doppia conformità”, infatti, è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira dal legislatore, desumibile cioè dal senso obiettivo delle parole utilizzate dall’art. 13 della legge n.47 del 1985, ovvero dal vigente art. 36 del DPR 6 giugno 2001, n. 380, ipotesi che è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della disciplina edilizia, a seguito di adozione di strumenti che riducano o escludano, appunto, lo jus aedificandi quale sussistente al momento dell’istanza. Quindi, la tipicità del provvedimento di accertamento in sanatoria, quale espressione di disposizione avente carattere
di specialità, va rigorosamente intesa come riferimento al diritto “vigente” (CdS V 29-5-2006, n.3267), e commisurata alla finalità di “favor” obiettivamente tutelata dalla previsione, in modo da risultare conforme al principio di proporzionalità e ragionevolezza nel contemperamento dell’interesse pubblico e privato. La norma, infatti, non può ritenersi diretta a disciplinare l’ipotesi inversa dello jus superveniens edilizio favorevole, rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza. In effetti, imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente “conforme”, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industrialiedilizie, con la conseguenza, contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale (altrimenti considerato in termini più ridotti alla luce della “ratio” della norma in tema di accertamento di conformità).
46 - ABUSIVO MUTAMENTO SENZA OPERE DELLA DESTINAZIONE DELL’IMMOBILE DA USO TURISTICO ALBERGHIERO AD ABITAZIONE PRIVATA
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 5417 DEL 09 SETTEMBRE 2009
In tema di condono per abusivo mutamento senza opere della destinazione dell’immobile da uso turistico alberghiero ad abitazione privata, la giurisprudenza del C.d.S. è ferma nel ritenere che il rilascio della concessione edilizia a sanatoria è ammessa solo quando – sulla base di elementi obiettivi - è possibile verificare in concreto l’uso diverso da quello assentito (cfr.Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 1999, n.592). Nella specie, a parte ogni questione sulla astratta possibilità giuridica di un mutamento parziale di destinazione di una parte di edificio con destinazione turistico-albeghiera, è di per sé irrilevante il fatto che l’unità abitativa in questione sia stata accatastata come abitazione privata A2, non incidendo tale circostanza sulla effettiva destinazione. Inoltre, non sono risultati elementi obbiettivi, tali da supportare l’effettiva sussistenza del dedotto parziale mutamento di destinazione d’uso dell’edificio.
47 - CANNA FUMARIA E CODOMINIO
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 11 DEL 3 GENNAIO 2006
Con la Sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il permesso di costruire per una canna fumaria, rilasciato dal Comune ad un condomino pur in presenza di parere negativo espresso dall'assemblea. Il caso riguarda una pizzeria che ha fatto ricorso in appello dopo che il Tar aveva annullato il titolo abilitativo a seguito dell’impugnativa da parte dei condomini, dell’atto di rilascio del titolo. Il Tar infatti aveva ritenuto fondati i motivi dei condomini in quanto la mancata acquisizione dell’assenso del condominio alla costruzione della canna fumaria dà luogo al rilascio della concessione edilizia ad un soggetto non legittimato ad ottenerla. In appello la pizzeria sostiene che il singolo condomino ha titolo per costruire una canna fumaria sul muro perimetrale dell’edificio comune. Il CdS ha accolto questa tesi richiamando l’articolo 1102 del Codice Civile secondo cui ciascun condomino “può servirsi della cosa comune,purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa”. Tuttavia “Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti alla comunione”. Quindi “il condominio può apportare al muro perimetrale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modificazioni che consentano di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, ivi compreso l’inserimento nel muro di elementi ad esso estranei e posti al servizio esclusivo della sua porzione, purché non impedisca a gli altri condomini l’uso del muro comune e non ne alteri la normale destinazione con interventi di eccessiva vastità”.
48 - SERVITU’ DI PASSAGGIO
CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V, SENTENZA N. 7601 DEL 18 DICEMBRE 2006
Affinché una strada possa ricondursi fra quelle gravate da servitù anche di solo passaggio, è necessario che l’uso risponda alla necessità o alla utilità di una collettività di persone (C.d.S. Sezione V, 28 gennaio 1998, n. 102). Nella specie, il carattere “interno” dell’area esclude il presupposto in esame facendo concludere per una utilità limitata ai soli proprietari frontisti (quando l’uso avvenga in favore di soggetti considerati uti singuli, e non uti cives, non può darsi uso pubblico di passaggio né per usucapione di servitù, né per dicatio ad patriam.
49 - TARIFFE PROFESSIONALI. INDEROGABILITÀ DEI MINIMI
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N.1342 DEL 06 MARZO 2009
Con recente sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha ricostruito il controverso avvicendarsi delle norme inerenti le tariffe professionali minime, tracciando un quadro esaustivo della norma vigente, conseguenza delle varie, ed anche frequenti, modifiche operate sui testi normativi negli ultimi tre anni. Prendendo spunto dalle osservazioni del Consiglio, si riporta di seguito un'analisi di detta disciplina. Abrogazione minimi tariffari. Successione delle norme: Il primo provvedimento riguardante l'obbligatorietà dei minimi tariffari è il c.d. decreto Bersani, D.L. 223/2006, convertito in L. 248/2006 il quale all'art. 2, comma 1 dispone che, “… in conformità al principio comunitario di libera concorrenza … al fine di assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto (12.8.2006 N.d.R.) sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti …”. Chiarimenti, almeno nelle intenzioni, sono stati forniti in merito dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che con la determinazione n. 4/2007 del 29.3.2007 ha confermato la soppressione dei minimi tariffari operata dalla L. 248/2006, con conseguente implicita abrogazione delle disposizioni non conformi di cui agli artt. 92, comma 2, e 53, comma 3, del Codice dei Contratti, D. Leg.vo 163/2006. Si ricorda che l'art. 92, comma 2, del Codice, nella sua originaria formulazione, era così articolato: ”il Ministro … determina … le tabelle dei corrispettivi …. I corrispettivi sono minimi inderogabili ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall'articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo”. Successivamente la lettera u), comma 1, art. 2, del D. Leg.vo 113/2007 ha soppresso dal suddetto comma 2 proprio il secondo ed il terzo periodo sopra riportati, con riferimento proprio all'inderogabilità dei minimi tariffari. Prestazioni rese nei confronti dello Stato: Contestualmente la citata lettera u), comma 1, art. 2, del D. Leg.vo 113/2007 ha modificato il comma 4 dello stesso art. 92, eliminando il riferimento ai “minimi inderogabili”, ma salvando la disciplina di cui all'art. 4, comma 12 bis della L. 155/1989, ai sensi del quale: “per le prestazioni rese dai professionisti allo Stato e agli altri enti pubblici relativamente alla realizzazione di opere pubbliche o comunque di interesse pubblico, il cui onere è in tutto o in parte a carico dello Stato e degli altri enti pubblici, la riduzione dei minimi di tariffa non può superare il 20%”, con la conseguenza che, per tale rilevante settore è stata fatta salva una disciplina normativa che configgeva con la liberalizzazione introdotta dal citato decreto Bersani e dalla modifica introdotta al comma 2 dell'art. 92 del Codice dei Contratti. Di recente il D. Leg.vo 152/2008 terzo decreto correttivo del Codice Contratti, con l'art. 2, comma 1, lettere zz) e t), n. 4, ha abrogato rispettivamente i suddetti commi 12 bis, art. 4, L. 155/1989, e 4 dell'art. 92 del Codice Contratti. Le conclusioni del Consiglio di Stato: In conclusione l'assetto normativo attuale così definitosi non contempla più l'obbligatorietà delle tariffe minime, ma queste conservano comunque il carattere di riferimento ai fini della determinazione, da parte della stazione appaltante, del valore dell'appalto, come specificato dall'art. 2, comma 2, della L. 248/2006. Inoltre la Corte lascia intendere che per determinare la corretta disciplina applicabile occorre aver riguardo alla normativa vigente all'epoca della gara. Infine si ricorda tra l'altro che la Commissione Europea, nell'ambito di procedura d'infrazione 2005/4216, aveva osservato che le tariffe minime non avrebbero potuto impedire a prestatori poco scrupolosi di offrire servizi di qualità inferiore, ovvero di chiedere onorari eccessivi rispetto alla prestazione fornita. Si vuole precisare, sulla scorta anche di quest'ultima osservazione, che la liberalizzazione attuata dal decreto Bersani muove nella direzione, in conformità con i
principi comunitari, di una maggiore trasparenza e quindi di una maggiore chiarezza del professionista, fermo restando, comunque, il rispetto dell'art. 223 c.c., in base al quale la misura del compenso, in ogni caso, deve essere adeguata all'importanza dell'opera e al decoro della professione.
50 - DOCUMENTO IDENTITÀ PER DICHIARAZIONI SOSTITUTIVE
CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA N. 5109 DEL 20 OTTOBRE 2008
il Consiglio di Stato ha chiarito che è sufficiente la produzione di una sola copia del documento di identità anche a fronte di più dichiarazioni sostitutive. La pronuncia interviene su un punto sul quale sono state espresse opinioni contrastanti. Nella sentenza 484 del 24 gennaio 2007, infatti, il T.A.R. Lazio aveva ritenuto che, poiché in base all'art. 38 del D.p.r. 445/00, la copia del documento di identità ha una sua specifica funzione e serve ad accertare la provenienza del documento cui è allegata, ciascuna autodichiarazione debba essere accompagnata da una copia del documento di identità. Sarebbe pertanto legittima l'esclusione dalla gara di un concorrente che ne abbia prodotto soltanto una copia. In contrasto, una precedente sentenza del Consiglio di Stato aveva ritenuto non necessaria la produzione di tante copie del documento di identità quante sono le autocertificazioni (Consiglio di Stato Sez. IV – Sent. 05 marzo 2008, n. 949). Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha chiarito che la copia del documento di identità è mera riproduzione di un documento originale e, pertanto, più copie non assumono una funzione ed una valenza specifica. Pertanto è conforme alla lettera dell'art. 38 d.p.r. n. 445/2000 la produzione di una sola copia del documento di identità, consentendo di individuare il sottoscrittore e di ricondurre a tale soggetto le responsabilità previste in caso di false dichiarazioni.
51 - ONERI DI URBANIZZAZIONE, I CRITERI PER DETERMINARE IL VALORE DELLE OPERE REALIZZATE A SCOMPUTO
Consiglio di Stato, Sentenza n. 5045 del 17 ottobre 2013
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di un'impresa in merito alla determinazione del valore delle opere da realizzare a scomputo degli oneri di urbanizzazione. I giudici di Palazzo Spada hanno precisato che “l’obbligo giuridico di versare il contributo previsto si concretizza ed è rappresentato dal rilascio della concessione medesima ed è in tale momento, quindi, che esso va determinato sulla base delle apposite tabelle parametriche regionali”. Questo criterio di determinazione deve essere applicato anche in caso di opere realizzate a scomputo dei relativi oneri, perché “occorre rispettare l’omogeneità dei dati tra cui effettuare la sottrazione, per cui la quota di opere realizzate da scomputare deve essere determinata sulla base del valore delle opere per sua natura variabile nel tempo e rilevabile al momento del rilascio delle concessioni a costruire, con riferimento alle quali vengono calcolati gli oneri di urbanizzazione”.
52 - IMPUGNAZIONE DEL PERMESSO DI COSTRUIRE: IL CONFINANTE E’ AGEVOLATO
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 3543/2013
Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato ha stabilito che nella valutazione della legittimità del permesso di costruire devono venire in considerazione direttamente le proprietà contermini. Solo il diretto confinante può contestare il rilascio del permesso di costruire sulla base del principio di vicinanza territoriale all'area dove vengono realizzati i lavori oggetto di contestazione , superando ogni esigenza di indagine diretta a stabilire se i lavori oggetto del permesso comportino un effettivo pregiudizio alla proprietà vicina. Il problema si pone, invece, per chi è confinante del confinante. In questo caso occorre un supplemento di verifica che porti a stabilire che anche questo soggetto abbia la possibilità di essere leso dal riconoscimento di un permesso di costruire a un soggetto che occupa un terreno non direttamente confinante con quello detenuto da chi vuol fare valere le proprie ragioni in sede legale. Ciò che rileva è, infatti, non tanto la vicinanza geografica del ricorrente, ma più specificamente la possibilità di risentire degli effetti sfavorevoli di un certa situazione. Le indicazioni del Consiglio di Stato possono essere estese anche ai rapporti di vicinanza fra gli enti territoriali. In questo modo è rilevante se il Comune è confinante direttamente con quello nel territorio del quale avvengono le opere contestate oppure se la vicinanza è "mediata" da un altro ente territoriale.
53 - NATURA DEI MATERIALI E AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA
Consiglio di Stato, Sentenza n.3354 del 20 giugno 2013
Ai fini di valutare la compatibilità paesaggistica di un intervento edilizio, l’Amministrazione è tenuta a effettuare un giudizio circa la tipologia dei materiali utilizzati. E’ illegittima l’autorizzazione paesaggistica rilasciata sulla base di valutazioni attinenti esclusivamente alle dimensioni dell’opera, ovvero alla sua collocazione a ridosso di un muro di contenimento preesistente, posto che dette valutazioni non sono idonee ad illustrare compiutamente le modalità del’inserimento dell’opera nel paesaggio circostante ed il rapporto in cui si pone con il relativo contesto ambientale, non potendo escludersi che anche un manufatto così connotato, alla luce delle specifiche e particolarmente rilevanti proprietà paesaggistiche del sito, possa comportarne un pregiudizio inconciliabile con le esigenze di protezione sottese al decreto impositivo del vincolo di tutela ambientale.
54 - CONDONO EDILIZIO E CERTIFICATO DI ABITABILITÀ
Consiglio di Stato, Sentenza n. 3034 del 03 giugno 2013
Ai fini del condono edilizio l’opera abusiva può dirsi realizzata se l’immobile è giunto al rustico, in tutte le sue strutture essenziali, fra le quali devono essere comprese le tamponature che sono necessarie per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna. Per quanto riguarda le opere interne o quelle non destinate ad uso non residenziale, la loro ultimazione è da ricollegarsi al loro completamento funzionale, inteso nel senso della sussistenza delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile l’uso per il quale sono state realizzate. Il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio (ai sensi dell’art. 35, co. 20, l. 47/1985), può legittimamente avvenire in deroga solo alle norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di rango primario, posto che la disciplina del condono ha carattere eccezionale e non è suscettibile di interpretazioni estensive che vadano ad incidere sul fondamentale principio della tutela della salute. Il certificato di abitabilità riguarda solo la salubrità dell’immobile - e quindi il solo manufatto edilizio – e non l’attività che viene svolta in esso; il suo rilascio è, pertanto, condizionato non solo alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia, sicché col rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità di produrre ulteriori certificati.
55 - REVISIONE DEI CANONI DI CONCESSIONE DEMANIALE. IL CONCESSIONARIO NON PUÒ INVOCARE LA RISOLUZIONE O LA RIDUZIONE AD EQUITÀ EX ART. 1623 DEL CODICE CIVILE.
Consiglio di Stato, sez. VI, Sentenza n. 5289 del 4 novembre 2013
Il concessionario di un’area demaniale marittima non può invocare la risoluzione contrattuale o la rinegoziazione dei canoni ex art. 1623 cod. civ. per notevole onerosità sopravvenuta a causa di legge a seguito della rivalutazione dei canoni demaniali marittimi, così come operata ad esempio, con la legge finanziaria 2006. Tali principi sono praticabili solo quando la legge vada ad incidere sulla “gestione produttiva” e non anche se la legge intervenga indirettamente sulla “gestione corrente” con la nuova disciplina del settore. Del resto, vale al contrario rilevare che la legge finanziaria ha operato un adattamento del canone, che era sproporzionato in danno dello Stato a causa della sua patente inadeguatezza in relazione al tempo trascorso e ai fenomeni di deprezzamento maturati riguardo al valore del bene in concessione e alla redditività ordinariamente ritraibile dal concessionario.
56 - L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO PUÒ IMPUGNARE UN TITOLO EDILIZIO?
Consiglio di Stato, sez. VI, Sentenza n.4944 del 8 ottobre 2013
L’amministratore di un condominio ha impugnato, senza una autorizzazione dell’assemblea condominiale in tal senso, i titoli edilizi in forza dei quali è stato effettuato un intervento di ristrutturazione di seminterrato e del vano a piano terra, con creazione di un soppalco. Ha agito correttamente? A causa dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali e dottrinali relativi al riconoscimento in capo all’amministratore di condominio di agire in giudizio autonomamente, nel 2010 è intervenuta una decisione della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite che ha stabilito che: “l’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dell’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (Casss. Civ., Sez. Un.., sent.6 agosto 2010, n.18331). Tale interpretazione, quindi, permette di garantire il c.d. “diritto al dissenso” dei condomini rispetto alle liti (art. 1132), per esempio qualora non vogliano intentare un giudizio complesso dall’esito incerto che potrebbe comportare la loro condanna al pagamento delle spese processuali. Pertanto è l’assemblea che ha il potere di decidere se agire in giudizio, se resistere o impugnare provvedimenti sfavorevoli al condominio; ciò perché in questi casi l’amministratore deve eseguire unicamente ciò che viene stabilito dall’assemblea. Questo indirizzo giurisprudenziale è da ritenersi ormai consolidato. Infatti “deve essere dichiarata l'inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio, senza la preventiva autorizzazione assembleare, eventualmente richiesta anche in via di ratifica del suo operato, in ordine ad una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato, in quanto non rientrante tra quelle per le quali l'organo amministrativo è autonomamente legittimato ad agire ai sensi dell'art. 1130 e 1131, primo comma cod. civ.” (Cass. civ., Sez. II, sent. 31 gennaio 2011 n. 2179). Nel caso in esame anche il Consiglio di Stato ha ritenuto di aderire a tale interpretazione e quindi, dopo aver accertato l’amministratore del condominio aveva agito senza una autorizzazione assembleare, ha ritenuto che “la possibilità di intraprendere l’azione giudiziaria proposta in questa sede esulava dai poteri dell’amministratore di condominio che risulta essere stato specificamente autorizzato dall’assemblea. Tale mancanza determina il difetto di legittimazione processuale attiva, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto in primo grado”. In parole più semplici, l’amministratore per agire processualmente deve richiedere una specifica autorizzazione assembleare; circostanza che ovviamente lo libera dalla responsabilità per l’eventuale esito negativo del giudizio. Nel caso di specie è necessario un preciso mandato da parte dell’assemblea l’amministratore per impugnare il titolo edilizio del condomino che soppalca.Il Consiglio di Stato, in motivazione precisa che ai senti di un indirizzo giurisprudenziale più volte espresso dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass., SS.UU., 6 agosto 2010, n, 18331) stabilisce che “partendo dalla premessa secondo cui l’amministratore di condominio non ha autonomi poteri, giunge alla conclusione che, anche in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all’assemblea, la quale deve deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente. Quindi, in base a questo orientamento, l’amministratore può proporre ricorso giurisdizionale nell’interesse del condominio che rappresenta solo in presenza di una specifica autorizzazione assembleare, la sola a poter esprimere il relativo potere decisionale, anche in campo processuale”.
57 - NON SONO RETROATTIVE LE SANZIONI AMMINISTRATIVE IN MATERIA EDILIZIA
Consiglio di Stato, Sentenza n. 5158 del 24 ottobre 2013
Le sanzioni amministrative previste dalla legge n. 47/1985 (Norme in materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) non sono irrogabili per le costruzioni completate prima della sua entrata in vigore, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all’epoca dell’abuso. Questo è il principio espresso nella sentenza in esame, il quale ha chiarito che se è vero che il divieto di norme sanzionatorie retroattive è costituzionalmente previsto per le sole norme penali, ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. La vicenda decisa dai giudici della V sezione aveva ad oggetto la richiesta di annullamento della disposizione dirigenziale n. 3290 del 2.4.1999, con la quale un Comune aveva ingiunto ai vari proprietari di un condominio il pagamento in solido della sanzione pecuniaria, ex l. n. 47/1985, di £ 426.762.000 per opere realizzate in parziale difformità dalla licenza edilizia rilasciata con provvedimento sindacale n. 4/1949. Quindi, nel caso di specie, la sanzione era stata comminata a quasi 50 anni di distanza dalla commissione dell’abuso edilizio al solo fine di ripristinare la legalità violata. In merito al difetto di motivazione del provvedimento qui impugnato, i giudici hanno ritenuto di condividere le censure dei ricorrenti sottolineando come “L’attivazione del potere repressivo a tale distanza di tempo rende, fra l’altro, oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte, nel caso di specie, dell’intimato Condominio (a prescindere dalla effettività della sua legittimazione passiva), oltre che degli attuali proprietari, e, soprattutto, improba ogni iniziativa di rivalsa, da parte delle parti intimate degli intimati, nei riguardi degli effettivi responsabili dell’abuso. In tali casi estremi non si può non ritenere, dunque, che l’onere della motivazione dell’iniziativa sanzionatoria si impone quale contrappeso proprio alla mancanza di termini di prescrizione-decadenza per l’esercizio del potere repressivo.[…] Un onere di motivazione si può quindi eccezionalmente configurare ove il decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie, circa 50 anni) fra la realizzazione dell'opera irregolare, ma munita pur sempre di un formale titolo, e l'adozione della misura repressiva, abbia ingenerato un solido affidamento in capo alla parte intimata (specialmente ove si tratti di un terzo acquirente)”. Per quanto riguarda l’applicazione retroattiva della sanzione amministrativa prevista dall’ art. 12 della l. n. 47/1985 l’amministrazione resistente sosteneva come il momento di riferimento per l’individuazione della normativa applicabile fosse quello in cui l’Amministrazione, venuta a conoscenza del fatto, ne riscontra l’illegittimità e applica la normativa sanzionatoria. Anche sotto questo aspetto i Giudici della V sezione hanno condiviso le censure del condominio sottolineando come “La giurisprudenza di questa Sezione ha invero già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. n. 47/1985 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell'entrata in vigore della fonte stessa (Consiglio di Stato, Sezione V, 8 aprile 1991, n. 470). Pertanto, le sanzioni amministrative previste da detta legge n. 47/1985 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell'entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all'epoca dell'abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (Consiglio di Stato, Sezione V, 12 marzo 1992, n. 214). Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell'art. 11 disp. prel. Cod. civ., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l'irrogazione anche retroattiva (Consiglio di Stato, Sezione V, 27 settembre 1990, n. 695)”. In conclusione, il provvedimento che accerta un abuso edilizio richiede un particolare onere di motivazione quando fra la realizzazione dell'opera irregolare, ma munita pur sempre di un formale titolo, e l'adozione della misura repressiva è trascorso un lasso di tempo tale da ingenerare un solido affidamento. Inoltre, anche in materia di sanzioni amministrative opera il generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale.
58 - RISARCIMENTO DEL DANNO PER IL RITARDO NEL RILASCIO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE
Consiglio di Stato , Sentenza n. 4968 del 9 ottobre 2013
Con la sentenza in esame, il Consiglio di Stato ha condannato un Comune ai sensi dell’art. 2043 del Codice civile, a risarcire il danno subito da un privato a causa del notevole ritardo con cui era stata rilasciata la concessione edilizia (ora permesso di costruire) richiesta. La vicenda riguarda una concessione edilizia richiesta nel 1989 e rilasciata nel 1996 dopo ben sette anni, durante i quali è stato accertato che il comune aveva tenuto comportamenti illegittimi in violazione degli obblighi di motivazione, pubblicità e di trasparenza dettati dalla Legge 241/1990 e prima ancora riconosciuti dalla giurisprudenza in attuazione dell’art. 97 della Costituzione (elemento oggettivo dell’illecito di cui all’art. 2043 Codice civile). i giudici, il procedimento si è svolto nell’ambito di un contesto di fatto caratterizzato da negligenza ed imperizia degli uffici comunali che ha comportato gravi violazioni delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, dal quale emerge la colpa del Comune (elemento soggettivo o psicologico dell’illecito ex art. 2043 Codice civile). Ai fini della configurazione della responsabilità dell’ente locale è stata poi ritenuta irrilevante la circostanza, evidenziata dal Comune, della mancata impugnazione del silenzio inadempimento (all’epoca non c’era il silenzio assenso come previsto oggi dall’art. 20 del Dpr 380/2001) formatosi per decorso dei termini di rilascio della concessione edilizia. In relazione alla quantificazione del danno, Palazzo Spada ha riconosciuto, in quanto supportate da adeguati mezzi di prova, le seguenti somme: oneri di urbanizzazione corrisposti al comune ma non dovuti per la qualità di imprenditore agricolo a titolo principale del richiedente; aumento dei costi sostenuti per la costruzione del manufatto, essendo essi mutati nei sette anni intercorsi tra la richiesta della concessione ed il rilascio della stessa; mancato utile conseguito per effetto dell’attività d’impresa che sarebbe stata esercitata in detto periodo.
59 - QUANDO LA GIUSTA INCLINAZIONE DEL SOLAIO NON PUÒ RITENERSI UNA DIFFORMITÀ O VARIAZIONE ESSENZIALE RISPETTO ALL’OPERA AUTORIZZATA
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 3676 del 10 luglio2013
Sulla base di quanto stabilito dalla sentenza del Consiglio di Stato in esame, il proprietario che ha realizzato un solaio di copertura ad un vuoto tecnico, innalzando il manufatto per garantire una corretta pendenza per lo scorrimento dell’acqua piovana, anche se in difformità rispetto al progetto autorizzato, non può essere condannato all’abbattimento, ritenendo la variazione una semplice accortezza tecnica e non una variazione essenziale (peraltro vietata dalla normativa regionale). L’innalzamento parziale del solaio, infatti, non snatura né la conformazione, né la struttura dell’opera, bensì è volta esclusivamente a creare una giusta pendenza che favorisca lo scorrimento delle acque meteoriche evitando possibili problemi di infiltrazione o ristagno sulla copertura.
60 - UNA PENSILINA DI NOTEVOLI DIMENSIONI NON È “PERTINENZA” IN SENSO EDILIZIO
Consiglio di Stato, Sentenza n. 4997 del 14 ottobre 2013
Con la sentenza in commento, la sezione quinta del Consiglio di Stato ha fornito alcuni chiarimenti sul regime delle pertinenze in ambito edilizio. “Come costantemente affermato dalla giurisprudenza anche della Sezione, perché un’opera possa rientrare nel regime delle pertinenze in senso edilizio deve assumere un rilievo oggettivamente marginale, tale da comportare una pressoché irrilevante alterazione dello stato dei luoghi”, precisa Palazzo Spada. I beni che hanno civilisticamente natura pertinenziale non sono necessariamente tali ai fini dell'applicazione delle regole proprie dell'attività edilizia. Infatti, la nozione di pertinenza in ambito edilizio ha un significato più circoscritto, e “si fonda non solo sulla mancanza di autonoma utilizzazione e di autonomo valore del manufatto (sufficiente come requisito in ambito civilistico, ndr), ma anche sulle ridotte dimensioni dello stesso, tali da non alterare in modo significativo l'assetto del territorio o incidere sul carico urbanistico, caratteristiche queste la cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata dall'interessato” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 giugno 2013 n. 3221). La sezione V del Consiglio di Stato ha recentemente ribadito che laddove una tettoia sia di consistenza oggettivamente notevole e quindi tale ex se da alterare in modo significativo l'assetto del territorio, essa, quand’anche si trovi in rapporto con altro bene (c.d. principale) e sia in potenza facilmente smontabile, si sottrae per ciò solo ad una definizione in termini di pertinenza, restando di conseguenza soggetta al regime concessorio proprio delle nuove costruzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 luglio 2013 n. 3939). Ciò posto, con la sentenza in commento Palazzo Spada ha chiarito che una pensilina di notevole consistenza (nel caso esaminato, 50 mq. di superficie - 0,70 mt. di spessore - 4,50 mt. di altezza – posizionata a mt. 1,20 dal fabbricato retrostante), determina oggettivamente una significativa alterazione del territorio, tale da escluderne la natura pertinenziale in senso edilizio.
61 - COMMISSIONE EDILIZIA RUOLI E POTERI
Consiglio di Stato, sentenza n. 4532 del 13 settembre 2013
Secondo il Consiglio di Stato, il parere espresso dalla Commissione edilizia comunale è privo di propria autonomia funzionale e strutturale e non rappresenta una emanazione definitiva della decisione dell'amministrazione: in altri termini, esso non costituisce un "provvedimento" sotto il profilo formale o sostanziale. Questo significa che il parere della Commissione edilizia rappresenta, in altri termini, un atto cd. "endoprocedimentale" e, come tale, non può essere impugnato avanti le autorità giudiziarie. La sentenza in commento offre spunti pratici interessanti chiarendo quali siano le condizioni al cui ricorrere il parere della commissione edilizia potrà comunque essere oggetto di impugnazione:
• il parere della Commissione andrà, infatti, immediatamente impugnato quando esso costituisce parte di un documento dell'ente competente all'emanazione dei permessi di costruzione. Se ad esempio, il parere della Commissione viene incluso, formalmente e sostanzialmente, in un documento che può essere qualificato come "provvedimento" della pubblica amministrazione, esso produrrà effetto - mediato - nella sfera giuridica degli interessati e, quindi, la giurisprudenza ne ammette l'immediata impugnabilità. I casi pratici possono essere molteplici, un provvedimento dell'Ufficio Tecnico del Comune - firmato dai soggetti competenti - a cui si allega il parere della Commissione o la semplice notifica del parere da parte del Sindaco: in tali casi, l'ente competente al rilascio dei titoli edilizi recepisce le determinazioni della commissione in un proprio atto imprimendogli la configurazione di una definitiva determinazione dell'Amministrazione sull'istanza di permesso.
• Non viene in rilievo, al contrario, la qualificazione o l'intestazione che viene impressa sul parere. Se ad esempio, il parere si intitola formalmente "Determinazione in merito alla domanda di permesso di costruire", la mera auto qualificazione non vale da sola a conferire al documento un valore provvedimentale né a qualificarlo come una "determinazione" sostanziale. Non trattandosi, quindi, di una manifestazione di volontà della Pa, il parere della Commissione non potrà essere legittimamente impugnato.
62 - CONFERENZA DI SERVIZI E SILENZIO ASSENSO
Consiglio di stato, Sentenza n. 4507 del 11 settembre 2013
La determinazione conclusiva della conferenza di servizi, anche se di tipo decisorio, ha pur sempre carattere endoprocedimentale e presuppone quindi un successivo provvedimento finale con valenza effettivamente determinativa della fattispecie, con conseguente esclusione di onere di impugnazione immediata. Di conseguenza, qualora nello schema procedimentale alla conferenza di servizi segua un atto monocratico di recepimento da parte di un organo dell’ente al quale spetta la competenza finale a provvedere, quest’ultimo è l’atto conclusivo del procedimento, al quale devono essere imputati gli effetti eventualmente lesivi e che deve essere impugnato da parte di chi si ritenga leso nella propria sfera giuridica. Il provvedimento espresso che reitera gli effetti del provvedimento implicito di assenso non costituisce atto meramente confermativo di quest’ultimo in quanto presuppone, con tutta evidenza, l’esperimento di un’autonoma istruttoria, i cui risultati devono confluire nella motivazione del provvedimento espresso.
63 - PROCEDURA DI GARA
Consiglio di stato, Sentenza n. 4433 del 4 settembre 2013
La terza sezione del Consiglio di Stato interviene a chiarire la portata dei poteri della stazione appaltante nel corso della procedura di evidenza pubblica, ritenendo che sia improprio parlare di “revoca” dell’aggiudicazione provvisoria. Difatti la mancata approvazione dell’aggiudicazione provvisoria non costituisce esito di un procedimento di secondo grado – com’è nel caso in cui s’intervenga sull'aggiudicazione definitiva – bensì integra la conclusione “in senso negativo” dello stesso ed unico procedimento di evidenza pubblica, “a causa della sopravvenuta non utilità del contratto, ancora in itinere, all’interesse creditorio, mutato per factum principis non derogabile e tale da non rendere conveniente l’attivazione del rapporto negoziale”. Sicché, non viene in rilievo se occorra, come nei procedimenti di autotutela, una congrua motivazione circa il modo con cui la P.A. contempera i contrastanti interessi nel momento della emanazione dell'atto di revoca. Tuttavia “è parimenti indubbio che, l’adeguatezza della motivazione in ordine alla ‘revoca’ de qua, ossia dell’esito negativo del procedimento d’evidenza pubblica si commisura solo con riferimento o all'indisponibilità delle relative somme in bilancio, o alla necessità di assicurare il rispetto delle previsioni del bilancio e del patto di stabilità o al mutato assetto organizzativo che discende dai nuovi vincoli finanziari”.
64 - ABBAINI E DISTANZE LEGALI
Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 11 settembre 2013 n. 4501
È illegittimo il permesso di costruire che autorizza la sostituzione di abbaini al posto di lucernai in violazione delle distanze previste dalle norme tecniche di attuazione comunali. Il caso oggetto della sentenza esaminata. Il ricorrente chiedeva l’annullamento di un permesso di costruire rilasciato dal Comune ad un altro condomino per il frazionamento, di un unico fabbricato, in due unità immobiliari; opere che prevedevano, per quanto qui interessa, la realizzazione di cinque abbaini in sostituzione di cinque lucernai. L’annullamento del provvedimento veniva richiesto per “violazione dell’art. 16 delle note tecniche di attuazione (NTA) del vigente Piano Regolatore Generale, relativamente al mancato rispetto della norma che prevede tra gli edifici la distanza minima di 5 metri dal confine”. Nel caso in esame il Consiglio di Stato ha ritenuto che la costruzione da parte del condomino dei cinque abbaini al posto di altrettanti lucernai avesse “modificato la sagoma del tetto, determinando un avanzamento ed un innalzamento dell’edificio”. Gli abbaini, infatti, seppure di modeste dimensioni sono considerati, in conformità della giurisprudenza sopra richiamata (Cass. Civ. sent. n. 21059/2009), come nuova costruzione e pertanto avrebbero dovuto necessariamente rispettare le distanze imposte della Norme Tecniche di attuazione del Comune. Il Collegio, inoltre, ha richiamato il principio, ormai consolidato, al quale attenersi per il calcolo delle distanze: “la distanza va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano”. Per costante giurisprudenza, infatti, tale calcolo va effettuato “prescindendo anche dal fatto che esse (ndr. le parti dei fabbricati) siano o meno in posizione parallela” (Consiglio di Stato, Sez IV, sentenza 2 novembre 2010 n. 7731; ivi, sentenza 5 dicembre 2005, n. 6909). Nella pronuncia in commento, infine, è stato chiarito che il limite dei 5 metri risultava applicabile nonostante fosse stato introdotto successivamente alla realizzazione dell’edificio. La realizzazione degli abbaini, infatti, in quanto “nuova costruzione” avrebbe dovuto essere autorizzata applicando la normativa in vigore al momento del rilascio del permesso di costruire come qualsiasi altra nuova edificazione.
65 - SOLO PICCOLE CREPE NEI MURI? NON CHIAMATELO RISANAMENTO CONSERVATIVO
Consiglio di Stato, sentenza n. 3968 del 25 luglio 2013
Costituisce vera e propria costruzione "ex novo" e non già ristrutturazione né mero restauro o risanamento conservativo la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuino, al momento della presentazione dell'istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l'esatta volumetria della preesistenza, in quanto l'effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione, bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso (Conferma della sentenza del T.a.r. Umbria - Perugia, n. 927/2000).
66 - CONDONO EDILIZIO:IL DIRITTO IN CASO DI MANCATO RISPETTO DELLE DISTANZE
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 4494 dell'11 settembre 2013
Il mancato rispetto delle distanze legali tra costruzioni non è ostativo al rilascio del condono edilizio. Il condono edilizio attiene al rapporto pubblicistico tra il comune e il richiedente, nel senso che viene sanata la violazione delle disposizioni di carattere urbanistico-edilizio nei (soli) rapporti tra l'amministrazione e il richiedente. Resta salva la possibilità dei proprietari limitrofi di far valere ildiritto al rispetto delle distanze davanti al giudice ordinario, a tutela del diritto di proprietà.
67 - APPALTI PUBBLICI E PRIVATI:REQUISITI PER LE SOCIETA’ CONTROLLATE
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 4198 del 20 agosto 2013
Nelle gare d'appalto l'art. 38, comma 1, lett. m quater del decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice degli appalti), come modificato dal decreto legge n. 135 del 2009, convertito con modificazioni nella legge n. 166 del 2009, dispone che sono esclusi dalla gara is oggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima gara, in una situazione di controllo di cui all'art. 2359 c.c. (v. sotto) o in una qualsiasi relazione anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale. L'applicazione della norma, specie con riferimento alla ipotesi della "relazione anche di fatto" deve basarsi su rigorosi, obbiettivi e comprovanti elementi, tali da non incidere sulla libertà del diritto di impresa. In particolare, nel caso di collegamento sostanziale deve essere provata in concreto l'esistenza di elementi oggettivi e concordanti tali da ingenerare pericolo per il rispetto dei principi di segretezza, serietà delle offerte e par condicio tra i concorrenti.
68 - NO AL GARAGE INTERRATO IN ZONA SOTTOPOSTA A VINCOLO PAESAGGISTICO
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 4114 del 6 agosto 2013
Il divieto di incremento di volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, costituendo opera valutabile anche come aumento di volume la realizzazione di un garage interrato con accesso all'esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
69 - DA ALBERGO A COMPLESSO RESIDENZIALE: LOTTIZZAZIONE ABUSIVA
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza n. 3755 del 12 luglio 2013
La modifica di destinazione d'uso di una struttura alberghiera in complesso residenziale realizzata attraverso la parcellizzazionedell'immobile in numerosi alloggi suscettibili di essere occupati stabilmente configura il reato di lottizzazione abusiva pur laddove l'area sia urbanizzata e gli strumenti urbanistici generali consentano una utilizzabilità alternativa di tipo alberghiero e residenziale.
70 - DIFFOMITA’ TOTALE O PARZIALE: QUANDO C’E’ LA DEMOLIZIONE?
Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 3676 del 10 luglio 2013
A norma degli artt. 31 e 32 D.P.R. n. 380/2001 (T.U. Edilizia), si verificano difformità totale del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un'opera diversa da quella prevista dall'atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell'opera.
71 - ACQUISTO DI IMMOBILE SU AREA DEMANIALE ILLEGITTIMO ANCHE SE DA ASTA
Consiglio di Stato , sez. VI, Sentenza n.507del 28 gennaio 2013
Lo stato di presunta buona fede al momento di una vendita giudiziaria insuscettibile di comportare il trasferimento del bene, in quanto demaniale, e l’ultratrentennale detenzione del bene stesso, non integrano un titolo legittimante l’occupazione del bene demaniale, che resta quindi abusiva, né comportano una “riserva” assoluta o una posizione “privilegiata” in ordine al rilascio della relativa concessione, considerato che anche il c.d. diritto di insistenza postula comunque che vi sai stato in precedenza un legittimo titolo di concessione, venuto a scadenza. Questo è il principio affermato dal Consiglio di Stato con la in esame, in tema di occupazione abusiva di un bene demaniale. Secondo i giudici di Palazzo Spada, infatti, l’abusività di un’occupazione di un bene insistente su terreno demaniale legittima di per sé l’esercizio dei poteri repressivi previsti dall’art. 54 del Cod. navigazione che – come si legge nella decisione - non avendo natura possessoria, né tanto meno petitoria, possono essere esercitati in ogni tempo a prescindere dalla risalenza dell’epoca dell’abusiva occupazione, illecito del resto di carattere permanente. Nel caso di specie, l’attuale appellante - riassunto il giudizio dall’erede dopo l’interruzione del processo per morte dell’appellante - aveva chiesto la riforma della sentenza del TAR Lazio con cui era stata rigettata la richiesta di annullamento dell’ordinanza con la quale il Comune di Anzio aveva ordinato il rilascio di un bene demaniale marittimo in quanto sine titulo. Al contrario, l’appellante dichiara che sin dal 1967 si era aggiudicato a seguito di asta pubblica una villetta costruita nel 1955, provvista di licenza e di dichiarazione di abitabilità. Inoltre dal decreto giudiziale di trasferimento non risultava in alcun modo che il bene insistesse su demanio marittimo. L’appellante, dopo aver appreso la circostanza a distanza di oltre vent’anni di era comunque adoperato per ottenere la relativa concessione, ma il procedimento non giungeva a termine per la contestazione di canoni dovuti, con la conseguente diffida al rilascio del bene da parte del Comune. Le doglianze dell’attuale ricorrente si focalizzano sull’erroneità del rilievo, contenuto nella sentenza del TAR impugnata, che il presupposto per emettere l’ordine di sgombero fosse unicamente costituito dall’oggettiva occupazione del demanio, lamentando una sostanziale omissione di pronuncia in ordine alla censura di difetto assoluto di motivazione e carenza di pubblico interesse, che ribadisce sostenendo come nella specie sia del tutto inconfigurabile il presupposto dell’occupazione abusiva. Infatti l’occupazione era derivata non da un comportamento illegittimo ma conseguente alla vendita del bene da parte dell’Autorità giudiziaria. In particolare, secondo l’appellante, non essendo intervenuta l’amministrazione in occasione della vendita, proprio essa avrebbe lasciato che la situazione si perfezionasse in un arco di tempo ultratrentennale, ingenerando nell’acquirente di non contestata buona fede un serio affidamento. Tuttavia, come visto, i giudici del Consiglio di Stato non ritengono fondate le contestazioni dell’appellante, anche in considerazione della circostanza che nella specie non è possibile mai rilevare una situazione di reale affidamento ingenerato dall’amministrazione, avendo lo stesso odierno appellante riferito di avere appreso la circostanza che la villetta insisteva su terreno demaniale e di essersi adoperato per ottenerne la concessione, contestando, peraltro, i canoni richiesti. In conclusione, in presenza del presupposto dell’occupazione abusiva, secondo Palazzo Spada, non è richiesta una particolare motivazione in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico al ripristino dello status quo ante rispetto all’interesse privato al protrarsi dell’occupazione stessa. Infatti, l’attività del Comune è chiaramente funzionale all’interesse pubblico alla tutela del bene demaniale da occupazioni non assentite e all’interesse al regolare e più proficuo ed affidabile utilizzo del bene. Da qui il Giudice respinge l’appello con conseguente condanna alle spese per il soccombente.
72 - IL RILASCIO DEL CERTIFICATO DI RESIDENZA NON È PROBATORIO DELLA DESTINAZIONE D’USO DI UN IMMOBILE.
Consiglio di Stato, sez. IV, Sentenza n. 414 del 23 gennaio 2013
In tema di concessione in sanatoria il semplice rilascio di un certificato di residenza non può assumere valenza probatoria della destinazione a uso abitativo di un’unità immobiliare che abbia diversa destinazione urbanistico-edilizia. Né, in funzione dell’esigenza della prova rigorosa del cambio di destinazione d’uso per tutte le unità locate e/o compravendute possono assumere, del pari, rilievo dichiarazioni sostitutive di notorietà di alcuni conduttori soltanto in ordine all’utilizzazione abitativa.
73 - VARIANTE AL PIANO REGOLATORE: DETERMINAZIONE DEL CARATTERE GENERALE O PARTICOLARE
Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 922 del 15 febbraio 2013
Al fine di determinare se una variante a un P.R.G. abbia carattere generale o particolare, si deve fare riferimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento. Qualora esse incidano su ampie zone territoriali e su una molteplicità di soggetti esse hanno carattere generale e devono essere impugnate dalla data di pubblicazione dell'atto. Nel caso in cui la variante urbanistica riguardi invece un bene specifico, incidendo direttamente su un determinato soggetto, essa ha carattere particolare e la p.a. ha l'obbligo di notificare all'interessato il provvedimento, dalla cui data decorre il termine di impugnazione dell'atto-
74 - LA DEFINIZIONE DEI CONFINI, SE NON C'È ACCORDO, SPETTA AL GIUDICE ORDINARIO
Consiglio di Stato, sez. VI, Sentenza n. 1539 depositata il 15 marzo 2013
La definizione dei confini, in materia di demanio pubblico, spetta al giudice ordinario se non c'è accordo. Questo è quanto dispone l’art. 32 (Delimitazione di zone del demanio marittimo) del Codice della navigazione prevede un procedimento, disciplinato in dettaglio dall’art. 58 del Regolamento per l’esecuzione del Codice (navigazione marittima), indirizzato a risolvere in via amministrativa questioni di delimitazione dei confini fra proprietà privata e demanio marittimo.
75 - LE OSSERVAZIONI AL PIANO REGOLATORE
Consiglio di Stato, Sentenza del 12 febbraio 2013
Le osservazioni presentate in occasione dell’adozione di un nuovo strumento di pianificazione territoriale costituiscono un mero apporto dei privati al procedimento di formazione dello strumento, tuttavia, non sorge in capo all’amministrazione alcun obbligo di puntuale e concisa motivazione. Questo il principio ribadito dalla VI sezione del Consiglio di Stato che, con la sentenza in comento, si è pronunciata su un ricorso avente ad oggetto l’annullamento di uno strumento urbanistico, nella specie il Piano Territoriale del Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa. Respinta l’impugnazione dal Tar in primo grado, la questione è stata quindi riproposta in appello e, confutando i molteplici motivi di censura, i Giudici di Palazzo Spada hanno avuto l’occasione di affermare:
“….le osservazioni presentate in occasione dell'adozione di un nuovo strumento di pianificazione del territorio costituiscono un mero apporto dei privati nel procedimento di formazione dello strumento medesimo, con conseguente assenza in capo all'Amministrazione a ciò competente di un obbligo puntuale di motivazione oltre a quella evincibile dai criteri desunti dalla relazione illustrativa del piano stesso in ordine alle proprie scelte discrezionali assunte per la destinazione delle singole aree, tranne i casi di affidamenti qualificati, non ricorrenti certo nella specie (tra le tante, Consiglio di Stato sez. IV, 11 settembre 2012, n. 4806).”
Pertanto sono giunti alla conclusione che:
“La presentazione di osservazioni, costituente una forma di apporto critico o collaborativo nel procedimento di formazione del Piano Regolatore, non muta l'ambito e l'estensione dell'obbligo di motivazione, né comporta l'esigenza di un'analitica confutazione con riferimento alle singole situazioni evidenziate dai privati, anche di sacrificio, essendo al contrario sufficiente che le rispettive osservazioni siano state esaminate e ritenute, sia pure succintamente e collettivamente, in contrasto con le linee guida del piano e con gli interessi pubblici che richiedano il sacrificio di tali contrapposti interessi privati coinvolti.”
Le osservazioni costituiscono quindi uno strumento partecipativo al procedimento di adozione di un piano urbanistico “incompleto”, in quanto permettono al privato di concorrere con i propri “suggerimenti” ma non concedono ai partecipanti il potere di dialogare alla pari con l’amministrazione, la quale può decidere di non accogliere le osservazioni presentate attraverso delle controdeduzioni “succinte” e “collettive”.
76 - BENI AMBIENTALI, NOTIFICA VINCOLO PAESISTICO
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 298 del 21 gennaio 2013
La Corte costituzionale ha affermato che, in presenza di “bellezze di insieme” di cui alla legge n. 1497 del 1939, caratterizzate da ambiti territoriali spesso di vaste dimensioni, la notifica a tutti i proprietari interessati dei provvedimenti costitutivi di vincolo diventerebbe estremamente difficile, macchinosa, e talora di scarsa possibilità.
77 - CONDONO DATA CERTA ULTIMAZIONE DEI LAVORI
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 39 dell’ 8 gennaio 2013
L'onere della prova dell'ultimazione dei lavori edilizi entro la data utile per ottenere il condono grava sul richiedente la sanatoria. Ciò perché mentre l'amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che richiede la sanatoria può fornire qualche documentazione da cui si desuma che l'abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data predetta, come ad es. fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all'esecuzione dei lavori e/o all'acquisto dei materiali ecc. La giurisprudenza di merito si è peraltro spinta ad affermare, sul solco di tale orientamento, che anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata dall'interessato, l'Amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono edilizio ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la semplice produzione della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non può in alcun modo assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull'epoca dell'abuso.
78 - PER LA REALIZZAZIONE DI UN SOPPALCO È NECESSARIO IL PERMESSO DI COSTRUIRE.
Consiglio di Stato, Sentenza n. 720 dell’8 febbraio 2013
Definizione del manufatto : Il soppalco abitabile costituisce una zona rialzata rispetto al livello del resto dell’appartamento, realizzato in una fase successiva e calpestabile da persone comodamente erette. La realizzazione di un soppalco all’interno di una unità immobiliare, compiuto attraverso la divisione in altezza di un vano a scopo di ottenere una duplice utilizzazione abitativa che non realizza un mutamento di destinazione d’uso, di sagoma o di volume, è soggetta a regole e misure stabilite dalla legge e cambiano a seconda del Regolamento Edilizio e di Igiene del proprio Comune di residenza. Caratteristiche costruttive: Dal punto di vista costruttivo il soppalco deve avere una altezza minima del locale da soppalcare di almeno 430-440 cm.; le altezze sopra e sotto il soppalco, quindi, non possono essere inferiori a 210 cm., soletta compresa. La superficie soppalcata non deve essere superiore a 1/3 della superficie del locale, ma può arrivare fino a metà della superficie del locale quando le altezze sopra e sotto il soppalco raggiungono i 220 cm. L’altezza della zona sottostante deve essere di almeno 240 cm. nel caso la si voglia attrezzare come bagno o come cucina (mantenendo sempre però i 210 cm. minimi nella parte superiore). Invece la superficie finestrata non deve essere inferiore a 1/8 della superficie del locale soppalcato. Alcune problematiche condominiali : Per realizzare un soppalco nel proprio appartamento, non è necessario chiedere l’autorizzazione all’assemblea condominiale, in quanto trattasi di opere che vengono effettuate all’interno della proprietà esclusiva. Ma al fine di evitare però successive contestazioni, è consigliabile depositare presso l’Amministratore la documentazione relativa ai permessi comunali ottenuti e la perizia del professionista chiamato in causa: se un vicino dovesse mai chiedere spiegazioni, sarà l’Amministratore a dover mostrare i documenti. Per quanto riguarda invece le tabelle millesimali, occorre sapere due cose: se i millesimi sono calcolati in base ai metri quadrati dell’appartamento, allora il soppalco può comportare una modifica dei calcoli stessi; se invece i millesimi sono calcolati in base alla cubatura, di fatto il soppalco non comporta nessun cambiamento. I titoli abilitativi : Nel corso del tempo l’orientamento giurisprudenziale in merito al corretto utilizzo del titolo abilitativo per la realizzazione di un soppalco abitabile, ha subito dei notevoli cambiamenti. Infatti, inizialmente un primo orientamento giurisprudenziale faceva rientrare la realizzazione di un soppalco per fra le opere interne, atteso che tale intervento, pur aumentando la superficie utilizzabile, non modificava il volume o la sagoma dell'edificio (Cass. Pen., Sez. III, n. 232352/2005). Dal 2005 in poi si aprì un contrasto giurisprudenziale fra la decisione del 2005 e le successive pronunce, che fu risolto con l'affermazione della necessità del permesso di costruire per ragioni di ordine sistematico. Pertanto la realizzazione di un soppalco nel corso di lavori di ristrutturazione interna di un edificio, richiede il permesso di costruire o della cosiddetta super-D.I.A. alternativa al predetto titolo abilitativo, in quanto si tratta di intervento edilizio che comporta un aumento della superficie e la realizzazione di un edificio in parte diverso dal preesistente (Cass. pen., sez. III, n. 41089/2011; Cass. pen., n. 8669/2007, Cass. pen., sez. III, n. 37705/2006, Cass. pen., n. 35863/2006). La recente giurisprudenza amministrativa invece, in ordine al titolo abilitativo per la realizzazione di soppalchi interni alle abitazioni, distingue i casi nei quali, in relazione alla tipologia e alla dimensione dell'intervento, può essere sufficiente una denuncia di inizio di attività (D.I.A.), dai casi nei quali occorre una vera e propria concessione edilizia, oggi permesso di costruire. Deve infatti ritenersi sufficiente una D.I.A. nel caso in cui il soppalco sia di modeste dimensioni e al servizio della preesistente unità immobiliare mentre, viceversa, deve ritenersi necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente, ai sensi dell'art. 3 comma 1, D.P.R. n. 380 del 2001, comportando un incremento delle superfici dell'immobile e, quindi, anche un ulteriore possibile carico urbanistico (T.A.R. Campania - Napoli, Sez. VI, n.908/2012). Sulla questione è di nuovo intervenuto il Consiglio di Stato con la sentenza n.720 dell’8 febbraio 2013 il quale ha precisato che l'art. 10 del D.P.R. n. 380/2001 dispone che sono subordinati al rilascio del permesso di costruire, gli interventi di ristrutturazione edilizia. La realizzazione di un soppalco comporta un aumento di superfici e limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comporta anche un mutamento della destinazione d'uso. Nel caso di specie, secondo i giudici, il soppalco per sua struttura e funzione ha comportato un aumento della superficie utile, nulla rilevando che mera intelaiatura sia priva del “piano di calpestio”. Anche ad ammettere che questo corrisponda alla reale situazione dei luoghi, rimane incontestato, come risulta anche dalla stessa perizia di parte (redatta, peraltro, sulla base di “documentazione fotografica fornita dalla proprietà”), che fossero state già realizzate “travi in ferro ad una altezza di circa due metri con scala in ferro per accesso”. Questi interventi, concludono i Giudici, delineano gli elementi strutturali essenziali di un soppalco.
79 - LA DISTANZA TRA PARETI FINESTRATE E PARETI DI EDIFICI ANTISTANTI NORMA VINCOLANTE PER COMUNI E STRUMENTI URBANISTICI
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 844 del 12 febbraio 2013
La distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è inderogabile e vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici. In ordine alla valenza direttamente precettiva tra privati del decreto ministeriale sulle distanze già il Consiglio di Stato (Sentenza sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5759) e alla eventuale disapplicazione di strumenti urbanistici con esso contrastanti nel senso della minore tutela, ha già avuto modo di osservare che le prescrizioni di cui al d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici. La prescrizione di cui all'art. 9 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 relativa alla distanza minima di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è volta non alla tutela del diritto alla riservatezza, bensì alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, ed è, dunque, tassativa ed inderogabile. Infatti, nella suddetta materia deve ritenersi che in tema di distanze tra costruzioni, applicabile, come detto, anche alle sopraelevazioni, l'adozione da parte dei Comuni di strumenti urbanistici contenenti disposizioni illegittime perché contrastanti con la norma di superiore livello dell'art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n.1444 - che fissa in dieci metri la distanza minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti - comporterebbe l'obbligo per il giudice di applicare, in sostituzione delle disposizioni illegittime, quelle dello stesso strumento urbanistico, nella formulazione derivate, però, dalla inserzione in esso della regola sulla distanza fissata nel decreto ministeriale (così Cassazione civile, II, 27 marzo 2001, n.4413 su richiamata; così anche Consiglio di Stato, IV, 12 giugno 2007, n.3094). La disposizione di cui all'art. 9, comma 1, n. 2, D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell'area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste conforme alle previsioni dell'art. 907 comma 3, C.C. Conseguentemente, ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima e va annullata ove oggetto di impugnazione, o comunque disapplicata, stante la sua automatica sostituzione con la clausola legale dettata dalla fonte sovraordinata, oltre alla considerazione che nella specie la disciplina è stata integrata dal regolamento comunale in senso ancora più rispettoso e rigoroso. L'art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, che detta disposizioni in tema di distanze tra costruzioni, stante la natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione. D’altra parte, come visto, nella specie non solo la norma comunale ha tenuto conto della disposizione ministeriale esistente, ma l’ha appunto integrata in senso ancora più rigoroso.
80 - PIANIFICAZIONE URBANISTICA E TUTELA AMBIENTALE ED ECOLOGICA
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6656, del 21 dicembre 2012
All’interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Infatti, l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione di futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio.
81 - LA SOSTITUZIONE EDILIZIA COSTITUISCE UNA MODALITÀ SPINTA DELLA RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA
Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 6592 del 20 dicembre 2012
La “sostituzione edilizia” costituisce, già in se stessa, una modalità (segnatamente, la più spinta) proprio della ristrutturazione edilizia, lo si evince sin dalle norme che, a livello tanto nazionale quanto locale, definiscono la seconda, ed ammettono che questa possa atteggiarsi, al limite, anche in termini di demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato. Dunque la conferma che la sostituzione edilizia, debba intendersi pur sempre come una forma della ristrutturazione edilizia, con la conseguente necessità di fare salve le caratteristiche fondamentali della preesistenza.
82 - SCADENZA CONVENZIONE DI LOTTIZZAZIONE
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6703 del 28 dicembre 2012
Anche a voler ammettere che una convenzione di lottizzazione possa avere una limitata ultrattività in un momento successivo alla sua scadenza, è indubbio che, decorso i termine di dieci anni, divengono inefficaci le previsioni del piano che non abbiano avuto concreta attuazione, nel senso che non è consentita la loro ulteriore esecuzione. Ne segue che una convenzione di tal genere, scaduta da dieci anni e rimasta inattuata, non può vincolare i successivi strumenti urbanistici generali, nemmeno sotto il profilo dell’esistenza di uno specifico onere di motivazione.
83 - NOZIONE DI “LOTTO INTERCLUSO”
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6656 del 21 dicembre 2012
E’ bene ricordare che la nozione di “lotto intercluso” ha una sua valenza quando non si rinvenga spazio giuridico per un'ulteriore pianificazione, mentre non è applicabile nei casi di zone solo parzialmente urbanizzate, esposte al rischio di compromissione di valori urbanistici, nelle quali la pianificazione può ancora conseguire l'effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto.
84 - DISTANZA MINIMA DELLE COSTRUZIONI CIVILI RISPETTO AGLI ALLEVAMENTI DI ANIMALI
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n.6639 del 21 dicembre 2012
Le preminenti esigenze pubblicistiche connesse alla salvaguardia delle incomprimibili finalità di igiene e salubrità dei luoghi sottese alla regola della distanza minima delle costruzioni civili rispetto agli allevamenti di animali hanno necessariamente valenza erga omnes, nel senso che sono poste nell’interesse di tutti i potenziali
soggetti che hanno titolo a vederne rispettato il precetto. Ciò implica che l’osservanza della disposizione
regolamentare comunale che pone, per ragioni di igiene e sanità pubblica, il rispetto di quella distanza minima dagli allevamenti non può essere interpretata, in senso unilaterale, e cioè che alla sua osservanza sarebbe tenuto soltanto il costruttore di un allevamento rispetto agli insediamenti costruttivi preesistenti e non anche il costruttore di fabbricati ad uso abitativo rispetto ad allevamenti già insediati. Non v’è infatti ragione per ritenere fondata una tale interpretazione, dalla quale irragionevolmente deriverebbero, pur a fronte della medesima ratio legis, soluzioni differenziate rispetto alla stessa questione inerente il rispetto o meno delle distanze imposte dal regolamento di igiene.
85 - MONETIZZAZIONE SOSTITUTIVA DELLA CESSIONE DEGLI STANDARD
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6707 del 28 dicembre 2012
Mentre il pagamento degli oneri di urbanizzazione si risolve in un contributo per la realizzazione delle opere stesse, senza che insorga un vincolo di scopo in relazione alla zona in cui è inserita l’area interessata alla imminente trasformazione edilizia, la monetizzazione sostitutiva della cessione degli standard afferisce al reperimento delle aree necessarie alla realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria all’interno della specifica zona di intervento e ciò vale ad evidenziare la diversità ontologica della monetizzazione rispetto al contributo di concessione.
86 - COMPENSI PROFESSIONALI: BOCCIATI I RIMBORSI SPESE DAL CONSIGLIO DI STATO SONO ESCLUSI DAI COMPENSI LIQUIDATI DA UN ORGANO GIURISDIZIONALE
Consiglio di Stato, Sentenza n. 161 del 18 gennaio 2013
Il Consiglio di Stato, con il parere in esame, si è espresso sullo schema di decreto ministeriale concernente:
"Regolamento recante modificazioni al decreto del Ministro della giustizia 20 luglio 2012, n. 140, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolamentate vigilate dal Ministero della giustizia".
L’Amministrazione ricordando che il presente decreto ministeriale introduce modifiche al decreto del Ministro della giustizia (n. 140/2012) concernente la determinazione dei parametri, ai sensi dell'art. 9 del decreto-legge n.1/2012 convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, si rifà in toto alla vigente disposizione legislativa e boccia le modifiche proposte principalmente dall'ordine professionale forense. Il Consiglio di Stato ha evidenziato che, superato ormai da tempo il regime tariffario, la determinazione di parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi dei professionisti costituisce solo un elemento di ausilio al giudice nella liquidazione, in alcun modo vincolante per la liquidazione stessa, come prevede espressamente l’art. 2, comma 7, del d.m. n. 140/2012.
Inoltre è stato ribadito che già nel precedente parere n. 3126/2012, reso nella adunanza del 21 giugno 2012, la stessa Sezione aveva segnalato il pericolo che tali nuovi parametri si prestassero a fungere da "tariffa mascherata", formulando già alcune osservazioni in relazione alla previsione di un compenso unitario, comprensivo delle spese. Viene quindi chiarito che non può essere accolta la previsione che al compenso sia aggiunto un importo per "spese forfettarie", intendendosi quelle spese, cioè, che il professionista inevitabilmente sopporta ma che, per la natura delle stesse, non può documentare o comunque provare precisamente (trattasi tipicamente delle spese relative alla gestione complessiva dello studio professionale). Per tale voce, infatti, è previsto un incremento del compenso liquidato in misura compresa tra il 10 e il 20 per cento e la modifica riguarda tutte le professioni (vedasi l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 1/2012, dove è chiarito che la "misura del compenso va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi". Ritorna in auge, quindi, il concetto di "compenso unitario e omnicomprensivo", ferma restando la possibilità di indicare le spese in modo distinto come componente del compenso stesso.
87 - I PIANI PER GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI (PIP) RIENTRANO TRA I PIANI URBANISTICI DI ATTUAZIONE E NE DEVONO RISPETTARE LE FORMALITÀ PREVISTE
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 82 del 9 gennaio 2013
I piani per gli insediamenti produttivi (cd. PIP) come pure i progetti preliminari e definitivi delle relative opere di urbanizzazione e di infrastutturazione, quali piani di secondo livello, devono ricondursi ai piani urbanistici di attuazione e quindi sono soggetti alle procedure di approvazione ed agli oneri di pubblicità previsti per i piani di attuazione. In mancanza, come nella fattispecie, di pubblicazione secondo le formalità prescritte dalla normativa regionale in materia la delibera di giunta di approvazione del PIP deve considerarsi illegittima (rectius: mai entrata in vigore) in quanto le formalità di legge (approvazione con decreto del sindaco e pubblicazione sul BUR) non sono state soddisfatte.
88 - TERMINE DECADENZIALE PER L’IMPUGNAZIONE DEI PROVVEDIMENTI IN MATERIA EDILIZIA
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6557 del 19 dicembre 2012
Per consolidato principio per cui la dimostrazione della tardività del ricorso e, quindi, della pregressa piena
conoscenza degli elementi essenziali dell’atto in capo al destinatario, deve, in ossequio agli ordinari criteri di riparto dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.), essere fornita da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione, e anche in disparte dell’ulteriore e parimenti costante giurisprudenza secondo la quale la conoscenza effettiva e completa del titolo edilizio da parte del terzo si verifica di regola con l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’immobile e non solo con il loro inizio.
89 - VOLUMI TECNICI NECESSARI PER L’UTILIZZO DELL’ABITAZIONE
Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 5965 del 27 novembre 2012
Quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione e che non possono
essere ubicati al suo interno, quali impianti di areazione e termo-idrici, l’impianto dell’ascensore e del montacarichi, devono essere considerati volumi tecnici, quindi non computabili nella volumetria generale, a
differenza di quanto si deve affermare per le soffitte, gli stenditoi e i locali di sgombero o le mansarde dotate di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda . Inoltre la rilevanza urbanistica deve essere rinvenuta nell’altezza interna, nella praticabilità del solaio, nelle modalità di accesso e nell’esistenza o meno di finestre, con la conseguenza, ad esempio, che un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante con una scala interna deve essere ritenuto abitabile e dunque computabile ai fini della volumetria.
90 - BENI AMBIENTALI LEGITTIMITÀ DINIEGO RIDUZIONE DEL VINCOLO PAESAGGISTICO
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 5989 del 27 novembre 2012
E’ legittimo il diniego del Ministero per i beni e le attività culturali all’istanza volta alla riduzione del vincolo
paesaggistico esistente sul complesso denominato Parco di San Giorgio, nel territorio del comune di Casorate Sempione (Va). Infatti, l'avvenuta edificazione di un'area o le sue condizioni di degrado non costituiscono ragione sufficiente per recedere dall'intento di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati, poiché l'imposizione del vincolo costituisce il presupposto per l'imposizione al proprietario delle cautele e delle opere necessarie alla conservazione del bene e per la cessazione degli usi incompatibili con la conservazione dell'integrità dello stesso.
91 - NECESSITÀ NUOVA VIA SU PROGETTO DEFINITIVO CON SOSTANZIALE MODIFICA
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6667 del 21 dicembre 2012
Nel caso in cui l’approvazione del progetto definitivo del programma delle infrastrutture strategiche con
potenziamento (raddoppio dei binari) della linea ferroviaria si pone non solo in senso di sostanziale modifica del progetto preliminare, ma addirittura in palese contrasto con esso, aderendo ad una ipotesi esplicitamente esclusa nella prima fase, è necessaria una seconda VIA. Secondo la giurisprudenza è principio acquisito quello per cui la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessario quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato. Se è prevista un’autorizzazione alla realizzazione di un intervento in più fasi, è necessaria una seconda VIA se nel corso della seconda fase (e quindi per esempio in sede di definitivo o di variante) il progetto può avere mostrato un nuovo impatto ambientale importante, in particolare per la sua natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione.
92 - AL FINE DELLA CONDONABILITÀ DI UN MANUFATTO ABUSIVO È ININFLUENTE L'EPOCA IN CUI È SORTO IL VINCOLO
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 5984 del 27 novembre 2012
Ai fini della condonabilità di un manufatto abusivo è ininfluente l'epoca in cui è sorto il vincolo, purché questo sia ancora in essere alla data in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, sicché detta regola vale anche per le opere eseguite anteriormente all'apposizione del vincolo stesso. Costituisce, dal pari, ius receptum che la già avventa urbanizzazione dell’area sulla quale insiste in manufatto oggetto dell’istanza di condono non ne impedisce la tutela, ma anzi la rende ancora più pressante e necessaria al fine di evitarne l’ulteriore degrado.
93 - LEGITTIMITÀ DINIEGO DIRETTORE BENI PAESAGGISTICI PER PARCO FOTOVOLTAICO
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 5994 del 27 novembre 2012
E’ legittimo il parere sfavorevole del Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise sul progetto per la realizzazione del parco fotovoltaico di 956,8 Kwp. Infatti, la disciplina del d.lgs. 29 dicembre
2003, n. 387 incentrata sulla concentrazione procedimentale in ragione del confronto richiesto dall’approvvigionamento energetico mediante tecnologie che non immettano in atmosfera sostanze nocive, e sul valore aggiunto intrinseco allo stesso confronto dialettico delle amministrazioni interessate, presenta ratione materiae, carattere speciale anche per ciò che riguarda la valutazione dell’impatto paesaggistico, rispetto a quella ordinaria prevista dall’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e poi dagli artt. 159 e 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42: di guisa il modello procedimentale e provvedimentale legittimante l’installazione di siffatti impianti è esclusivamente quello dell’autorizzazione unica regionale, tipizzato espressamente da questo art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 che prescrive, al fine del rilascio dell’autorizzazione unica, il “rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”.
94 - COMPUTO DELLA VOLUMETRIA EDIFICABILE IN AREA VERDE DI RISPETTO STRADALE
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6319 del 10 dicembre 2012
In base all’art. 13 delle NTA del PRG di Taranto: “le zone e le aree di rispetto non sono computabili ai fini dell’applicazione di indici di fabbricabilità o della calcolazione del rapporto di copertura”. Non è sostenibile la tesi secondo cui l’art. 13 delle NTA, per il quale le zone e le aree di rispetto non sono computabili ai fini
dell’applicazione di indici di fabbricabilità, debba essere disapplicato in favore dell’art. 28 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada, che per le strade di tipo F non stabilisce distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della circolazione. Il vincolo di inedificabilità relativo alla “fascia di rispetto stradale”, non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto riguardante una generalità di beni.
95 - DIFFERENZA PROCEDIMENTALE ISTITUZIONE AREE RETE NATURA 2000 E AREE PROTETTE
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 6048 del 29 novembre 2012
La definizione delle aree protette di cui alla legge 394 del 1991 (e di cui alla legge regionale della Calabria n. 10 del 2003) persegue finalità del tutto peculiari, quali la tutela della natura, del paesaggio e dei beni geologici e culturali, nonché la promozione dell’educazione e della ricerca, e si avvale di strumenti procedimentali e partecipativi anch’essi peculiari (quali quelli volti all’intervento, in sede di definizione delle aree interessate, dei diversi livelli di governo interessati), non estensibili ad altre fattispecie. Del tutto autonoma, è la disciplina in tema di definizione delle aree ricadenti nell’ambito della rete ecologica europea denominata ‘Natura 2000’ della quale fanno parte: le Zone a Protezione Speciale (ZPS) e i Siti di Importanza Comunitaria (SIC) ovvero le Zone di Conservazione Speciale (ZSC). L’individuazione e la delimitazione dei SIC e delle ZPS avviene sulla base di regole procedurali del tutto peculiari che non afferiscono alla l. 394 del 1991 “Legge quadro sulle aree protette”. Sotto questo aspetto, la scelta del legislatore regionale di includere in modo sostanzialmente automatico i SIC e le ZPS nell’ambito delle aree protette della Regione Calabria non può sortire anche l’effetto di attrarre la disciplina sostanziale e procedimentale delle prime all’ambito regolatorio proprio delle seconde, il quale mantiene pur sempre il proprio carattere di distinzione ed autonomia.
96 - NATURA CONFORMATIVA DEL VINCOLO A “PARCO URBANO”; “VERDE PUBBLICO”;“VERDE URBANO” O “VERDE ATTREZZATO
Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 6094 del 29 novembre 2012
In conformità ai criteri individuati da Corte Cost., 20 maggio 1999 n. 179, vanno configurati come conformativi i vincoli che incidono su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni medesimi ricadono in dipendenza delle sue caratteristiche intrinseche, ovvero del rapporto per lo più spaziale, con un’opera pubblica. Viceversa, si configurano quali vincoli preordinati all’espropriazione, ovvero aventi carattere sostanzialmente espropriativo, quelli segnatamente incidenti su beni determinati ed imposti in funzione non già di una generale destinazione di zona ma ai fini della localizzazione di un'opera pubblica, ovvero tali da implicare uno svuotamento incisivo della proprietà . In tale contesto la giurisprudenza riconosce natura conformativa, con la conseguenza dell’inapplicabilità in tale evenienza dell’istituto della decadenza di cui all’art. 2 della L. 1187 del 1968 e, ora, dell’art. 9 del T.U. 327 del 2001, alle destinazioni a: “parco urbano”; “verde pubblico”;“verde urbano” o “verde attrezzato”, posto che, usualmente, tale destinazione non impedisce ogni possibilità di utilizzazione dei terreni da parte dei proprietari.
97 - RILASCIO CONCESSIONE EDILIZIA IN LOTTO INTERCLUSO
Consiglio di Stato, Sez. V, Sentenza n. 6229 del 5 dicembre 2012
Con riferimento alla fattispecie del cd. lotto intercluso o di altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata, attraverso la completa realizzazione delle opere e dei servizi atti a soddisfare i necessari bisogni della collettività, è pacifico che lo strumento urbanistico esecutivo non può considerarsi più necessario e non può, pertanto, essere invocato ad esclusivo fondamento del diniego di rilascio del titolo. La concessione edilizia può infatti essere rilasciata in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato (essendovi già stata cioè una pressoché completa edificazione dell'area, come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso) e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione. Si può, pertanto, prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti.
98 - PROGETTO DI UTILIZZAZIONE DEGLI ARENILI TRASFORMAZIONE DELLE CONCESSIONI ESISTENTI ANCHE IN SPIAGGIA LIBERA ATTREZZATA
Consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza n. 6197 del 4 dicembre 2012
Il progetto di utilizzazione degli arenili, approvato con delibera consiliare, ha natura di atto di programmazione della gestione e della utilizzazione degli arenili, pur se ha riguardato un numero determinabile di persone, esso poteva essere approvato anche in assenza della partecipazione di coloro che risultavano comunque titolari di concessioni, pur con riferimento a coloro che avevano presentato istanze ‘di trasformazione’, basate sul contenuto della delibera regionale riguardanti le concessioni atipiche. Ai sensi dell’art. 7, comma 2, delle linee guida regionali per le spiagge libere, per le concessioni esistenti per attività balneari differenti dagli stabilimenti balneari e dalle spiagge non attrezzate, i progetti di utilizzo dovranno prevedere le opportune trasformazioni volte ad uniformare le tipologie ed a migliorare complessivamente l’offerta turistica, anche mediante la trasformazione delle concessioni esistenti in spiaggia libera attrezzata.
99 - IL SILENZIO RIGETTO NON COMPORTA IL VENIR MENO DELL’OBBLIGO DELLA PA DI PROVVEDERE, CON RELATIVE CONSEGUENZE IN CASO DI EMANAZIONE SUCCESSIVA DEL PROVVEDIMENTO
Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n.6712 del 29 dicembre 2012
Il cosiddetto silenzio-rigetto non equivale ad un provvedimento esplicito, ma è un semplice presupposto di fatto che consente all’interessato di rivolgersi al giudice amministrativo senza attendere oltre; esso non comporta dunque una consumazione del potere della p.a. né un venir meno dell’obbligo di provvedere; il provvedimento esplicito sopravvenuto alla formazione del silenzio determina la cessazione della materia del contendere, se favorevole, ovvero riapre il termine per ricorrere, se sfavorevole.